PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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AVVENTO 2018 - Materiale 3.o incontro - GREMBO

Nel cosmo, nel deserto, nel grembo

Dove attendi l’arrivo del Signore?

 

3. Lo attendi nell’intimità feconda del tuo grembo: ti viene donato per donarlo agli altri!

 

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

(Luca 1, 39-45)

 

 

Ci troviamo di fronte a un brano di Vangelo nel quale s’intreccia la storia dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ci sono due donne che s’incontrano, due donne incinte: una vecchia di 2000 anni di attesa (il Battista rappresenta più di 2000 anni di attesa della promessa da parte del popolo d’Israele), quindi una donna che porta in sé praticamente l’attesa dell’umanità intera; e l’altra, una ragazzina che porta in sé l’Atteso dall’umanità. Una porta il desiderio, l’altra il Desiderato; una porta la fame, l’altra il cibo. E finalmente, si incontrano.

È un brano di riconoscimento, dove il riconoscimento non avviene principalmente tra le due donne, ma ancor prima avviene a livello viscerale, tra i due bimbi che sono nel grembo. Questo testo rappresenta il rapporto tra promessa e compimento, tra Antico e Nuovo Testamento, tra Israele e Chiesa. La visita di Maria a Elisabetta è esattamente la visita del Signore al suo popolo: il Signore è piccolissimo, ha pochi giorni, e il Battista lo riconosce. E quello che avviene a livello viscerale tra queste due donne, è ciò che avverrà alla fine dei tempi: il riconoscimento da parte del Signore di tutto il suo popolo. Dio da sempre cercava di essere riconosciuto; Maria non l’ha riconosciuto come Messia, ha semplicemente detto “sì”, e dicendo “sì”, ha dato una dimensione carnale al Figlio di Dio, il quale, finalmente, con la sua visita a Elisabetta, è riconosciuto da quest’ultima e da suo figlio come tale, come il Figlio di Dio. E questo è il progetto di Dio su tutta l’umanità: essere riconosciuto dagli uomini nel momento della sua visita, nella visita di Colui che si fa nostro fratello.

Elisabetta dice a Maria esattamente il significato di ciò che lei porta in se stessa: “La Madre del mio Signore viene a me”. È l’Antico Testamento che dice al Nuovo Testamento cos’è che porta con sé: e il Nuovo Testamento porta all’Antico Testamento - che è l’attesa - il compimento. Per questo, non si capisce l’uno senza l’altro. L’incontro dei due dona all’attesa, l’Atteso; e all’Atteso, qualcuno che lo attenda, perchè se non fosse atteso da nessuno, la sua venuta sarebbe vana. E il progetto finale di Dio sulla storia, che qui viene anticipato, è proprio questo riconoscimento del Messia, del Figlio di Dio, da parte di tutti gli uomini. La ricchezza e l’esperienza del Nuovo Testamento acquistano un rilievo nella misura in cui s’incontrano con l’Antico Testamento.

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”. L’angelo aveva detto a Maria: “Ecco il segno che nulla è impossibile a Dio: tua cugina Elisabetta è incinta”. Allora Maria parte in fretta per la montagna: in fretta non vuol dire con ansia. Ci va non perchè incredula o dubbiosa se sia vero quel che le ha detto Dio, ma semplicemente per amore e per amicizia: va per vedere il “segno”, che è Elisabetta. A che cosa serve un segno? Serve per “significare”, per dire il significato di una cosa: Maria va a vedere in Elisabetta il significato di ciò che è avvenuto a lei stessa, e i monti di Giudea richiamano i monti che Dio ha scelto per rivelarsi, lungo tutto l’Antico Testamento (Ararat, Moria, Sinai/Oreb, Nebo, Carmelo, Sion/Ermon, Garizim…). Anche noi, per capire il dono che abbiamo ricevuto – cioè Gesù, Figlio di Dio – dobbiamo “frequentare i monti di Giudea”, dobbiamo frequentare l’Antico Testamento, perchè è lì che Dio ci ha fatto una promessa, che poi è arrivata in Gesù. Se non conosco la promessa, ovvero l’Antico Testamento, non conosco chi è Gesù: questo ci dice l’importanza, per noi, di conoscere l’Antico Testamento, perché è lì che c’è l’attesa di Dio. Se non c’è l’attesa, Lui non può venire; se io non conosco questa promessa, non posso aspettarmi nessuno. È qui che nasce l’abbraccio tra lui che è l’Atteso e la nostra attesa. Tutto l’Antico Testamento è per noi un grembo sempre fecondo, una realtà sempre aperta, aperta all’incontro definitivo col Signore. La Bibbia ci parla dell’incontro tra Dio e l’uomo, un incontro sempre aperto che attende quello definitivo con un Dio che vuole donarsi all’uomo. Però, perché ci sia questo incontro, bisogna che ci sia in noi il desiderio, l’attesa, la ricerca che c’è in tutto l’Antico Testamento. Senza di questo, non desideriamo nulla, quindi non conosceremo neppure il Signore: se non lo desideri, non lo conoscerai; se non lo attendi, non lo incontrerai; se non lo cerchi, non lo troverai.

Affresco sec. XIV, Visitazione, Chiesa della Santa Croce, Pelendri, Cipro

E quando Maria entra nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Il “saluto” si dava con la parola “shalom”, “pace”: Maria non saluta semplicemente, Maria porta effettivamente con sé la pace. L’ospite nella Bibbia porta sempre la pace, perché è sempre considerato una visita di Dio, e qui lo è in modo molto particolare. Ricordiamo che Elisabetta e Maria sono parenti, come poi ovviamente lo saranno Gesù e il Battista: vuol dire che l’attesa di Dio (Giovanni), che è segno dell’essenza più profonda dell’uomo, e Dio stesso che è l’Atteso (Gesù), sono “parenti”, sono fatti della stessa carne. Dio e l’umanità sono parenti, da sempre. La prima cosa che avviene in questo incontro è la “danza” di gioia (così dice il termine greco “sussultare”) del bimbo in grembo a Elisabetta. In questo bimbo che danza di gioia nel ventre della madre si manifesta il segno della visita del Signore. Come faccio a capire, io, nella mia vita, se il Signore mi sta visitando? Se c’è qualcosa in me, nel più profondo di me stesso, che comincia a danzare di gioia. E sarà sempre una danza, purtroppo non di gioia, ma di egoismo, a uccidere Giovanni il Battista e a farlo incontrare definitivamente con Dio.

Elisabetta fu colmata di Spirito Santo”: la gioia è il segno della presenza dello Spirito. Questo incontro è molto semplice: sono semplicemente due donne che si abbracciano, due donne incinte, una vecchia e una giovane. Eppure, qui c’è tutta la storia dell’umanità. Finalmente il Battista, l’Antico Testamento, la promessa a Israele, incontra Colui che è promesso, Colui che è Atteso. Il fine della storia, il progetto che Dio ha sulla storia è che Israele conosca il Messia, che Israele diventi luce di tutte le genti, perché questo Messia non è un dono esclusivo per Israele, gli è dato perché lo doni a tutti gli uomini. Il dramma di Dio nel corso della storia è proprio quello di non essere riconosciuto. Egli è già presente nella storia, è da sempre nelle viscere della storia, nella profondità di un grembo, come il germe futuro della storia, come vita in procinto di esplodere, come desiderio di novità: attende solo di essere riconosciuto e abbracciato. E questo si avvera tra queste due donne: un abbraccio, un piccolo gesto tra due donne, è il senso di tutta quanta la storia. Se ogni nostro desiderio riuscisse a raggiungere e abbracciare ciò che desidera, saremmo tutti contenti, non ci sarebbe più cattiveria nel mondo, ci sarebbero felicità e gioia per tutti. Immaginiamoci poi, oltre che a livello personale, se a livello sociale ci fosse l’abbraccio tra ogni uomo che attende la salvezza e il suo Dio: tutte le religioni andrebbero d’accordo, e smetterebbero di combattersi.

Elisabetta esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!”. Elisabetta esclama a grande voce, il bambino le danza nel ventre, e dice: “Benedetta tu tra le donne”. Sono evidenti i richiami al libro dei Giudici, quando il nemico di Israele, Sisara, fu ucciso con un piolo da Giaele (5,24), e poi a Giuditta, quando, nel suo omonimo libro, tagliò la testa a Oloferne (13,17). Si dice in tutte e due i casi: “Benedetta tu tra le donne, perché hai vinto il nemico”. Ora, Maria non pianta pioli in testa alle persone, né taglia teste all’umanità. Maria è la discendente di Eva alla quale fu promesso: “La tua discendenza schiaccerà la testa del serpente”, cioè del nemico. Maria, è quella donna che ha detto “sì” a Dio, che ha ascoltato la Parola - esattamente il contrario di Eva, che aveva ascoltato il serpente - e uccide il serpente, il nemico. Quindi Elisabetta riconosce in Maria la donna perfetta, l’umanità perfetta che ha vinto il nemico, che ha vinto l’avversario di Dio, satana: per questo è benedetta, porta la benedizione di Dio, perché è colei che ascolta Dio. È benedetta fra le donne (come Giaele, come Giuditta) e benedetto è il frutto del suo grembo: il frutto del suo grembo non è più il frutto dell’Eden, ma è il frutto stesso di Dio, è il Figlio dell’Altissimo. Elisabetta intuisce che il dono di Dio per l’uomo è Dio stesso, e questa è la benedizione più grande.

43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?” Questa semplice affermazione richiama Davide quando, nel secondo libro di Samuele al capitolo 6, vede arrivare l’arca e dice: “Come potrà venire da me l'arca del Signore?”. E si mise a danzare, seminudo e gridando a gran voce. Maria, qui, è presentata come l’Arca dell’Alleanza, che era custodita nel Santuario, nel “Santo dei Santi” (dove il marito di Elisabetta, Zaccaria, stava offrendo l’incenso quando gli fu rivelata la nascita del Battista). Nell’Arca dell’Alleanza, c’era la presenza di Dio. E questa “presenza” in che cosa consisteva? C’erano solo le Tavole della Legge, ovvero la Parola, le dieci Parole. Ma una Parola, che cos’è? Di per sé, niente di concreto, perché non la puoi toccare: ma se viene ascoltata, la Parola diventa presenza e vita. E Maria è la nuova Arca dell’Alleanza, perchè la Parola è ascoltata e diventa carne. La visita del Signore ci viene sempre attraverso un testimone, cioè chi l’ha già ascoltato, gli dà carne nella propria carne e lo annuncia a noi perché anche noi a nostra volta lo ascoltiamo e diventi carne nella nostra vita. Quindi, quest’Arca dell’Alleanza è un po’ l’immagine di ciascuno di noi nella misura in cui ascoltiamo la Parola, diamo carne alla Parola e diventiamo la presenza di Dio nel mondo, il nuovo santuario, non fatto da mani d’uomo. Elisabetta si sente come indegna della vicinanza della Madre del Signore; ma è proprio di Dio farsi vicino a coloro che si sentono umili, che si sentono indegni.

Jacopo Pontormo, La Visitazione, 1528-29, Carmignano, Pieve di San Michele

“44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”. Questo fatto viene riportato due volte in pochi versetti: prima come racconto (danzò il bimbo nel grembo di Elisabetta), e ora quando Elisabetta dice: Il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”. Quando un concetto nel Vangelo è ripetuto due volte, vuol dire che è il centro di tutto il racconto. In realtà, il movimento del bimbo poteva essere una cosa normalissima, di cui Elisabetta si sarebbe potuta accorgere anche senza dargli un significato particolare: come quando a noi capitano cose molto profonde nella vita , ma non sappiamo che cosa dire o addirittura le dimentichiamo, e allora è importante che qualcuno ci riporti al ricordo del fatto e alla capacità di leggerne il significato. Elisabetta capisce che quando è arrivata Maria il bimbo ha danzato di gioia perché ha incontrato il suo Signore, perché questa gioia è il segno che il Signore era lì, presente. Tradotto: come facciamo noi a sapere se siamo visitati dal Signore, se la Parola che ascoltiamo viene da Dio oppure no? Il segno è questo: l’esultanza interiore, profonda dentro di noi, questo è il segno che c’è in noi la presenza di Dio. La gioia è la firma che il Signore pone su ogni sua opera. Dio è la pienezza di amore e di vita; chi lo desidera, chi lo accoglie, raggiunge la gioia piena appunto perché ha ottenuto ciò che desiderava. Proviamo a pensare a tutte le gioie della nostra vita, soprattutto a quelle che possono arrivarci anche senza nessun motivo: è proprio di Dio dare gioia, perché dentro di noi, nella nostra profondità è già presente Dio, attraverso la sua Parola, cioè la sua visita. Sta a noi accorgercene: invece, in genere, presi come siamo da mille distrazioni, noi siamo fuori da noi stessi, dal nostro “io” più profondo, e allora non ce ne accorgiamo. Ma se noi ce ne accorgiamo ed entriamo, sentiamo che lì c’è Dio e la sua gioia, e lì riconosciamo il Signore. La tristezza, in genere, agisce in superficie: infatti, la minima cosa, anche superficiale, ci turba. Più invece andiamo in profondità, e più troviamo la presenza di Dio che ci dà gioia, fiducia, speranza, e quando questo avviene attraverso una visita precisa, attraverso un fatto o un incontro, ci risveglia.

45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto”. È la prima beatitudine del Vangelo di Luca, che poi ne conterrà ancora altre. “Sei beato” vuol dire che io mi congratulo con te, perché sei veramente fortunato, sei veramente felice. E questa è la beatitudine fondamentale dell’uomo: credere alla Parola, aver fiducia in Dio, ascoltare la Parola di Dio. Come l’infelicità dell’uomo è non ascoltare la Parola di Dio, non aver fiducia nel Padre che ci ha collocato nell’Eden, così l’origine di ogni felicità è aver fiducia nel Padre, credere al suo amore, credere alla sua promessa. Se non posso fidarmi di mio padre e di mia madre, nella vita, come posso essere sereno? Di chi mai posso fidarmi? La maledizione più grande è quella capitata nel giardino col serpente: quella di non credere in Dio, non di fidarsi di lui, di non credere alla sua Parola.

E quando diranno a Gesù: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!”, egli risponderà: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,27-28). L’ascolto della Parola corrisponde a un grembo che genera, perché se ascolti, concepisci l’Altro, lo lasci entrare. E osservare la Parola (cioè metterla in pratica), vuole dire “allattarla”, farla crescere, nutrirla. Questa beatitudine della fede proclamata da Elisabetta è già presente nell’Antico Testamento, perché il fondamento di tutta la storia di Israele inizia con Abramo che credette alla Parola del Signore. E pure Maria credette con pienezza.

E pure, noi quando crediamo, quando cominciamo a credere che si compiono le promesse del Signore, mettiamo in moto le beatitudini di Dio.

 

 

Per la riflessione

  • Sono capace di danzare di gioia per la presenza del Signore nella mia vita?
  • Credo davvero che la vera beatitudine è credere alla Parola? Mi appassiono a leggere la Bibbia, sia il Nuovo, sia l’Antico Testamento?
  • Quanto i doni che ricevo da Dio, diventano per me motivo di dono agli altri? Sono contento di donare agli altri quello che Dio mi dona?
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