PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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Domenica 10 febbraio 2019 - V Domenica Tempo Ordinario - C

1ª lettura: Is 6,1-2a.3-8

2ª lettura: 1 Cor 15,1-11

Vangelo: Lc 5,1-11

 

Ma che cosa passa, per la mente di Dio?

 

Ci si avvicina lentamente al Carnevale: e allora la metto un po’ sul ridere (spero non ne abbiano a male i liturgisti e gli esegeti), e vi racconto, per iniziare, un aneddoto familiare, narratomi da una famiglia di amici di vecchia data.

A una loro vecchia zia zitella (come ce n’erano parecchie, nelle nostre famiglie di una volta, e purtroppo non sempre godevano di grande stima, anche solo per i nomignoli che venivano loro affibbiati…) una coppia di genitori aveva affidato, il pomeriggio del sabato, i due figlioletti maschi di 6 e 4 anni perché li tenesse “a balia”, come si diceva allora: del resto – e questo è uno dei grandi meriti delle zie “zitelle” di cui pure il Padreterno, a mio avviso, dovrà tener conto – lei aveva cresciuto tutti i nipoti, e si apprestava già a crescere anche quelli della seconda generazione. Il “compenso” era molto elevato: un pranzo in famiglia una domenica al mese e le vacanze estive in montagna o al mare “all inclusive”, cioè nipotini da tenere a bada compresi…

Beh, fatto sta che questi due maschietti erano molto diversi di carattere l’uno dall’altro: il più grandicello era l’incarnazione della bontà, tanto che lo si poteva considerare addirittura privo del peccato originale. Obbediente, giudizioso, rispettoso, educato, quieto e silenzioso… un angioletto, veramente! Al contrario di quella peste del fratellino minore, che di stare fermo proprio non ne voleva sapere: a dire la verità, neppure all’asilo riuscivano più a tenerlo (le suore lo paragonavano a “Legione”, l’indemoniato di Gerasa di cui parla il vangelo di Marco…), ma a quel tempo le figure degli psicologi non esistevano, esistevano solo le “papine” delle monache, le quali, dopo una serie di percosse si fermavano, invocando l’intercessione della loro fondatrice, che nel caso avesse potuto calmare “Legione” sarebbe stata beatificata e canonizzata senza la necessità che le venisse riconosciuto un miracolo… La stessa situazione si ripeteva in casa, dove il “piccolo diavolo” riportava come uniche cose imparate all’asilo le parolacce ascoltate dai bimbi più grandi, e dove le intemperanze mettevano a dura prova la proverbiale bontà del fratello maggiore, continuamente provocato dalla “zanzara”; lo stesso dicasi per la grande pazienza di zia Adelina (nome di fantasia, ovviamente), allora considerata un’emarginata in quanto nessuno se l’era presa a carico (e pensate che aveva solo 37 anni…), mentre oggi qualsiasi azienda farebbe a gara per averla tra le sue dipendenti, vista la sua libertà dalla vita familiare. Insomma, per tirare le fila dell’aneddoto, al termine di uno dei sabati più devastanti della storia delle “balie” (durante il quale pure il pesciolino rosso di zia Adelina aveva raggiunto la pace eterna nei mari del Paradiso, passando, tuttavia, attraverso acque “turbinose”…), la zia apostrofò sua sorella (madre dei due bambini) con una sentenza che entrò nella leggenda della famiglia: “Questo – riferito al bimbetto buono – diventerà un santo sacerdote; ma questo – abbiamo capito di chi parlasse – o lo porti a Celana, o andrà lui da solo al Beccaria!” (per chi non conosce la geografia lombarda, parliamo rispettivamente di un collegio maschile e del carcere minorile di Milano…).

Di fatto, la sentenza profetica della zia eternamente nubile (che Dio l’abbia in gloria) si avverò… o quasi: nel senso che uno divenne veramente sacerdote, e l’altro finì in collegio (ma non al Celana, bensì a Oxford…) evitando così il Beccaria, dove comunque non sarebbe mai finito, proprio per la sua proverbiale bontà che conservava sin da bambino, soprattutto sopportando il fratellino minore, quel piccolo demonio che – come avrete intuito – è lui a essere diventato prete (nemmeno troppo santo)… e possiamo scommettere che una delle sue prime messe di suffragio le avrà celebrate proprio per l’anima santamente infelice di zia Adelina!

Morale della favola: cosa passerà mai per la testa di Dio nel momento in cui sceglie qualcuno perché si metta al suo servizio? E con che criteri, soprattutto, effettua questa scelta?

Con tutti i grandi uomini della Parola presenti a Gerusalemme nel 740 a.C., anno della morte del re Ozia, doveva andare a scegliere come suo profeta proprio Isaia, “un uomo dalle labbra impure”? Che cosa significhi realmente questa espressione, non lo sappiamo; non sappiamo se indichi dei difetti fisici (la balbuzie) o dei difetti morali (un uomo dalla vita non certo esemplare). Di certo, l’intervento di Dio per trasformare la sua vita “impura” fu talmente sconvolgente da essere narrato attraverso l’immagine di un carbone ardente che cauterizza le labbra impure del profeta, quasi a dire che Dio interviene a cambiare la vita delle persone come e quando vuole, indipendentemente dalle loro doti o dai loro difetti, perché lui tutto quello che fa, lo fa “per grazia”.

E con tutti i santi discepoli di Gesù che furono testimoni oculari della sua resurrezione, perché lo hanno visto nuovamente in vita, e per la forza di questa visione hanno annunciato con franchezza il vangelo anche a rischio della loro stessa vita: per portare questo annuncio fino ai confini dell’impero romano e addirittura nel cuore di Roma che eliminava i seguaci di Gesù bruciandoli vivi, il Maestro doveva per forza scegliere un persecutore dei cristiani, uno che andava a prenderli di casa in casa per farli arrestare, uno che approvava la lapidazione di un bravo giovane come Stefano, uno che si definiva lui stesso “un aborto”, ovvero qualcosa da cui non sarebbe mai germinato nulla di vitale per la Chiesa? Eppure, se Gesù non avesse chiamato il fariseo Saulo di Tarso sulla via di Damasco per trasformarlo in Paolo, apostolo delle genti “per grazia di Dio” (sono ancora sue parole), il Vangelo forse non avrebbe mai travalicato i confini del giudaismo, adattandosi alle differenti culture del mondo pagano, lungo i secoli, fino ai nostri giorni.

Ma neppure l’imprenditore Simone di Cafarnao, che con i suoi soci Giacomo e Giovanni aveva il monopolio della pesca del lago di Gennèsaret, affetto anch’egli dalla “Sindrome di zia Adelina” per cui Dio sceglie i migliori e i più buoni per metterli al proprio servizio, avrebbe mai immaginato che in suo onore e in onore del suo “sì” incondizionato a Gesù fino alla morte in croce, avrebbero un giorno costruito sulla sua tomba il più imponente e meraviglioso tempio della fede cristiana, centro della cristianità e simbolo di unità tra i popoli. Eppure, tutto ciò avvenne perché un giorno ascoltò Gesù, e sulla sua parola gettò le reti anche dopo una notte in cui non aveva pescato nulla… Uno smacco, per un imprenditore come lui: ma lo smacco più grande lo ebbe quando Gesù evitò di ascoltarlo, mentre gli diceva “Vattene da me che sono un peccatore”, e lo scelse per farlo “pescatore di uomini”, uno cioè, che avrebbe salvato gli altri dal mare della morte nel quale si trovavano immersi. E tutto questo, per pura grazia di Dio…

Non dimentichiamocelo, per buona pace di zia Adelina e delle sue profezie: Dio non guarda ai buoni e ai santi. Quelli non hanno bisogno di lui: sono già buoni e santi, che bisogno hanno che Dio li tenga stretti al suo fianco?

Se sapeste quanto è consolante, per noi preti, questa Liturgia della Parola…

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