PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Giovedì 1 novembre 2018 - Solennità di Tutti i Santi

1ª lettura: Ap 7,2-4.9-14

2ª lettura: 1 Gv 3,1-3

Vangelo: Mt 5,1-12°

 

Beati i felici!

 

 

Si possono dire – e di fatto già si sono dette – un’infinità di cose riguardo a questa festa di Tutti i Santi: che è la festa in cui ricordiamo tutti quei santi che non sono iscritti nel calendario ufficiale; che è la festa in cui diamo onore a quei cristiani che, pur agendo nell’anonimato e nel silenzio, hanno contribuito a costruire il regno di Dio; che è il giorno in cui veneriamo non solo le persone buone fedeli al messaggio cristiano, ma anche coloro che appartenendo a “ogni nazione, tribù, popolo, lingua” sono state segno della presenza di Dio in mezzo all’umanità; che è il momento in cui – creando un tutt’uno con la ricorrenza di domani – ricordiamo con affetto quelle persone che abbiamo amato in questa vita, che ci hanno preceduto nell’incontro con Dio Padre, e che per noi sono state esempio di santità, cioè di bontà, di amore disinteressato, di generosità, di attenzione agli altri; che è la solennità dell’Anno Liturgico nella quale invochiamo l’intercessione di tutti i santi perché ci aiutino nel nostro cammino quotidiano verso la santità. E via dicendo.

Tutte cose giuste e sacrosante. Io credo tuttavia che, sulla scorta di quanto ascoltato nel famosissimo brano di Vangelo delle Beatitudini, quanto abbiamo sopra elencato (e potremmo, ripeto, aggiungere molto altro), possa essere condensato in un unico concetto: la ricerca della nostra felicità, della felicità come segno della santità di Dio che opera in noi. Perché uno solo è Santo, Dio: e i nostri, e quelli di ogni cristiano, sono solo balbetti. E comunque, devono mettere in evidenza una sola cosa: la nostra felicità. Si è santi se si è felici; nella vita di un santo, o di una persona che aspira a diventarlo, non c’è assolutamente spazio per la tristezza.

E la felicità non vuol dire darsi alla pazza gioia, ridere e scherzare sempre, oppure comportarsi da “gaudente” attraverso una vita spensierata e dedita al divertimento: credo che neppure la metà delle persone che passano la loro esistenza a divertirsi e a fare baldoria, possa dirsi felice. Quanta tristezza, quanto vuoto, quanta noia esistenziale anche oggi, nei crapuloni, nei gaudenti, nei “fuori di testa” del fine-settimana… No, non si può confondere la felicità con la pazza gioia! Perché, nell’ottica del Vangelo, la ricerca della felicità coincide con la ricerca della santità. E la santità la ritroviamo in quella parolina ripetuta per ben nove volte nel Vangelo di oggi: “Beati”.

Essere incamminati verso la santità significa essere felici; ed essere felici significa essere “beati”. Che è l’esatto contrario di quello che pensa il mondo e che anche noi pensiamo, ovvero “avere fortuna”, una fortuna che suscita quasi invidia (della serie: “Beato te!”, “beata lei!”). No: essere beati significa esserlo nonostante tutto, o grazie a qualcosa.

Possiamo essere beati grazie alla nostra ricerca dell’essenzialità, che ci fa essere poveri nello spirito;

possiamo essere beati grazie alla nostra mitezza, che ci fa spegnere ogni tentativo di inutile polemica;

possiamo essere beati grazie ai nostri comportamenti misericordiosi, che ci renderanno amati da tutti;

possiamo essere beati grazie alla nostra purezza di cuore, alla nostra semplicità quasi ingenua, che ci fa impazzire di gioia stando insieme ai bambini e sapendo giocare con loro e come loro anche da adulti;

possiamo essere beati grazie alla nostra opera di pacificazione e di ricerca della pace sempre, sopra di tutto e nonostante tutto.

Nonostante tutto, infatti, si può comunque essere beati, santi, se si ha la serenità nel cuore: nonostante ci si trovi nella sofferenza per la malattia o nel pianto per la morte di una persona cara;

nonostante ci si senta perseguitati dalle ingiustizie, a livello personale o sociale;

nonostante desideriamo giustizia per noi e per i nostri cari e non la otteniamo;

nonostante ci sentiremo minacciati, oppressi, condizionati, controllati, perseguiti, vessati, oggetto di ossessioni, privati della nostra libertà.

Perché la ricerca della beatitudine, la felicità, passa attraverso la lotta contro ogni forma di oppressione, di ingiustizia, di negazione della libertà.

Non possiamo essere incamminati verso la santità, se non siamo felici; non possiamo sentirci veri cristiani se non abbiamo la felicità nel cuore; e se non l’abbiamo, Dio oggi vuole da noi che facciamo di tutto, ma veramente di tutto, per essere felici.

Perchè lui ci vuole così: non ci vuole martiri e sofferenti, ci vuole santi. Cioè felici.