PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 12 agosto 2018 - XVII Domenica T. Ordinario - B

XIX Domenica T. Ordinario - B                                                                  

Domenica 12 agosto 2018

1ª lettura: 1 Re 19,4-8

2ª lettura: Ef 4,30 – 5,2

Vangelo: Gv 6,41-51

 

Ma chi ti credi essere?

 

“Ma chi ti credi di essere?”. È una frase che, con un certo disappunto, rivolgiamo a una persona (a volte magari si tratta anche di un amico o di un familiare) che manifesta un certo senso di superiorità, magari anche con boria e superbia, spesso per via di atteggiamenti che pretendono avere il sopravvento sulla nostra vita, sulla nostra storia personale, sulle nostre scelte. Può anche darsi che ciò non venga fatto con malizia, specie se si tratta di un familiare stretto, che magari vuole condizionare le nostre scelte di vita in base al suo modo di vedere le cose, da lui ritenuto giusto. Sta di fatto, però, che la cosa ci procura un certo fastidio: se permetti, della mia vita faccio quello che desidero io, e non voglio essere condizionato da nulla e da nessuno sulle mie scelte. E soprattutto, non mi va che la mia vita possa essere intralciata, ostacolata, a volte ferita, dagli atteggiamenti in questo caso oppressivi e volutamente cattivi di chi non mi vuole per niente bene: cosa vuole questo qua da me? Chi si crede, appunto, di essere, o come può pensare di interferire nelle mie giornate, tanto da potermi condizionare la vita?

E quando questo “qualcuno” ha la “Q” maiuscola, in altre parole, quando è Dio che vuole condizionare la nostra vita e le nostre scelte, come la mettiamo? Non vi è mai capitato di dover dire a Dio “ma chi ti credi di essere”? Forse non con queste stesse parole, eppure credo che a volte ci venga proprio da chiedere a Dio cosa vuole da noi. A volte – e alcune persone più di altre – ci si sente non solo condizionati, ma addirittura presi di mira, bersagliati, quasi perseguitati dalle scelte che Dio fa sulla nostra vita. Certo, lui è Dio: ma siamo proprio convinti che questo lo autorizzi a fare della nostra vita ciò che egli vuole? Chi si crede di essere, quando ci toglie la salute, le forze, la voglia di vivere, gli affetti? Chi si crede di essere, quando pretende di scegliere lui per noi? Chi si crede di essere, quando ci chiede una vita di fede fatta di regole, precetti, comandamenti che tolgono la voglia di credere? Chi si crede di essere quando si dimentica che ci ha creati liberi, liberi anche di non credere in lui?

Sono domande forti, sfrontate, magari esagerate, che però riflettono bene due atteggiamenti molto presenti nella nostra vita di fede, e sono gli atteggiamenti che mi pare di vedere riflessi nelle letture di questa domenica. Da una parte Elia, che dice “basta” a un Dio che lo fa fuggire nel deserto senza acqua e senza cibo, e questo a motivo di una persecuzione a cui lo stesso Dio lo aveva sottoposto, chiedendogli di combattere contro la malvagità di una regina, Gezabele, che lo voleva morto per via della sua difesa della fede nel Dio d’Israele: quel Dio a cui ora Elia chiede di riprendersi la vita che gli aveva donato perché non ce la fa più a sentirsi perseguitato dagli uomini e dallo stesso Dio. Elia non vuole che Dio si senta autorizzato a trattarlo in quel modo, anche perché non si sente affatto migliore dei suoi padri.

Chi invece si sentiva come i propri padri, e quindi non accettava di dover mettere in discussione la propria fede, era quel gruppo di Giudei (e Giovanni con questo indica di solito le autorità religiose) che non smettono di affrontare Gesù sulla questione del “pane di vita disceso dal cielo” tanto centrale in questo capitolo 6 del quarto vangelo che sta occupando le liturgie domenicali delle nostre ferie. Qui, il “chi ti credi di essere” rivolto a Gesù non è lo stesso rivolto a Dio da Elia, il quale si sentiva da lui condizionato e addirittura perseguitato; qui si tratta di un vero e proprio interrogatorio, una sorta di giudizio rivolto a Gesù che pretende di farsi Figlio di Dio, di ritenersi più importante della loro religione, delle loro istituzioni, dei loro “padri”, ossia di quegli uomini e di quelle donne che sotto la guida di Mosè avevano affrontato l’esodo e il deserto, nel quale Dio stesso li aveva nutriti con un vero e proprio pane disceso dal cielo, la manna di cui abbiamo ascoltato la narrazione domenica scorsa. La pretesa di Gesù di proclamarsi Figlio di Dio è per loro inaccettabile, tanto più che di lui conoscono la famiglia, il parentato, il vicinato, le origini non certo regali e ancor meno divine. Ciò che in realtà è ancor più inaccettabile è che Gesù possa insegnar loro un modo diverso, un modo nuovo di vivere la fede, ovvero quello che avvicina l’uomo a Dio in maniera diretta, immediata, senza cioè la mediazione delle istituzioni, della religione, della tradizione, di quel riferimento ai “padri” che spesso rischia di allontanare gli uomini da Dio (saranno le grandi questioni tra Gesù e i farisei sul tema delle tradizioni e della legge): non c’è più bisogno di mediazioni umane tra Dio e gli uomini, perché c’è un unico Mediatore, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che mette gli uomini in contatto diretto con Dio attraverso la sua persona, addirittura attraverso il suo corpo “mangiato” e il suo sangue “bevuto”.

Vedremo come questo, ovviamente, scatenerà la reazione dei Giudei (ma anche della folla e dei suoi stessi discepoli), che riterranno inaccettabili queste affermazioni di Gesù. Così come ora non accettano che Dio si permetta di interferire direttamente nella loro vita eliminando il riferimento a una legge, a una tradizione, a un’istituzione religiosa che per loro era diventata più importante dello stesso Dio.

Al punto che, forse, ora toccherebbe a Dio chiedere ai Giudei (e a noi, quando ci comportiamo come loro): “Ma chi vi credete di essere?”.