PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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Domenica 10 marzo 2019 - I Domenica di Quaresima - C

1ª lettura: Dt 26,4-10

2ª lettura: Rm 10,8-13

Vangelo: Lc 4,1-13

 

Ecco ora il tempo della fatica

 

Se siamo qui, come ogni domenica, ad ascoltare la Parola che salva, può anche darsi che lo facciamo per abitudine o per tradizione, ma comunque abbiamo deciso di ritagliarci un po’ di tempo da dedicare a Dio, come questo tempo di Quaresima ci invita a fare in maniera più pressante rispetto agli altri periodi dell’anno. E di ritagliarci del tempo per Dio, nel corso della settimana, ci capita di rado; oppure, invece, ci capita spesso, magari partecipando quotidianamente alla messa o pregando in casa, aiutati dalla radio e dalla televisione, che non è vero che trasmettono solo banalità o valori anticristiani. Tuttavia, in entrambi i casi – che ci ritagliamo del tempo per Dio oppure no – la vita di fede e di preghiera ha una costante: la fatica.

Che fatica, alzarsi presto anche la domenica mattina, quando – soprattutto se studiamo e lavoriamo sodo in settimana, spesso alzandoci prestissimo – decidiamo di venire a messa invece di poter rimanere beatamente nel letto a goderci un meritato riposo; che fatica, rimanere attenti alle preghiere che recitiamo ogni giorno, alle parole del Vangelo ascoltate in chiesa, o al rosario recitato in casa, quando – neanche a farlo apposta – ti vengono in mente tutti i pensieri immaginabili e possibili proprio in quel momento. Ci mancano poi i periodi dell’anno come questo, già quasi primaverile, in cui, a causa del tepore del sole e del primo risveglio della natura, la testa va ulteriormente “ a viole”…

Ecco allora che iniziamo a emettere sentenze su questo nostro “affaticamento” nel vivere la vita di fede. La più immediata delle sentenze è: “Ho perso la fede”; un’altra, altrettanto immediata ma già più complessa, è la seguente: “Per me, è il diavolo che ci mette lo zampino”. E a vedere quanto è accaduto a Gesù nel brano di Vangelo che da secoli la Chiesa proclama in questa prima domenica di Quaresima, la seconda ipotesi sembrerebbe la più accreditata. Per non parlare, poi, della fatica di chi non riesce ad avere una vita di fede intensa o anche solo minimamente praticante per via di fattori oggettivi, di fronte ai quali è difficile dargli torto: il cattivo esempio di fratelli di fede che, pur praticando, si comportano in maniera poco cristiana; gli scandali che avvengono all’interno della Chiesa; alcuni dolori e sofferenze provati e subiti nonostante l’essere ricorsi a Dio con la preghiera, e via dicendo. Sono tutte conclusioni legittime e rispettabili, soprattutto perché spesso vissute sulla propria pelle. Ma io mi permetto di credervi con beneficio d’inventario, ovvero facendo un po’ la tara a queste conclusioni. Perché faticare nel vivere la vita di fede non significa averla persa; né tantomeno essere inesorabilmente soggetti al potere del maligno che ci allontana da Dio. Ed è proprio questa vicenda di Gesù nel deserto a farci comprendere che, in fondo, la fatica di credere non è affatto segno di una mancanza di fede, né tantomeno significa aver ceduto alle lusinghe del male, più potente del bene. Perché le tentazioni del male sono – oltre che parte del nostro vivere quotidiano – sopportabili e superabili; e soprattutto, il male ha sempre le ore contate.

Certo che è faticoso credere in un Dio che provvede ai suoi figli, per chi si trova in situazione di fame o di mancanza dei beni materiali. È molto più semplice e immediato cedere alla tentazione del denaro ottenuto facilmente, con la violenza, la rapina, il furto, o più semplicemente il colpo di fortuna di una giocata o di una scommessa.

Certo che è faticoso credere in un Dio che non promette ricchezze, fama, successo, vita facile, bellezza e potere, bensì l’esatto opposto, ovvero la croce. È molto più semplice e immediato cedere al desiderio nichilista e privo di speranza di chi dice “godiamocela, intanto che possiamo, che poi da morti non godremo più di nulla!”.

Certo che è faticoso fidarsi di un Dio che, nel momento della sofferenza, fisica o morale, ti dice: “Non avere paura, coraggio, ci sono io. Gettati tra le mie braccia”. È molto più semplice lanciargli la sfida, e dirgli: “Voglio vedere se mi aiuti. Prima fai quello che ti chiedo, poi mi fiderò di te. Prima fammi questa grazia. Prima regalami questo dono cui tengo tanto: allora saprò che sei Dio”. E da tentati, diveniamo noi stessi tentatori.

Eppure, nemmeno così possiamo dire di essere uomini e donne senza fede. Non oseremmo neppure rivolgere il nostro pensiero alle cose di Dio, se fosse così. La fatica di credere, non è mancanza di fede; così come la tentazione non è indice di malvagità o segno di distanza da Dio, se è vero – come lo è – che Gesù stesso è stato tentato di fare a meno di suo Padre, e non solo per quaranta giorni nel deserto, ma in ogni istante della sua vita.

Di vero, in tutta questa fatica, c’è solo una cosa: che è questione di tempo. Tutto ciò che, da esseri umani, viviamo nella vita di ogni giorno, è soggetto al tempo: e il tempo dell’uomo, per sua natura, è limitato. Ha un inizio e una fine. Nel bene, ma anche e soprattutto nel male. E consoliamoci col fatto che, comunque, così come termina, il bene è capace anche di ripresentarsi e di ricominciare, sconfiggendo il male. Anche il male è capace di tornare, e, di fatto, torna, nella nostra vita, periodicamente, come fu nella vita di Gesù: “Il diavolo si allontanò da lui – non definitivamente – fino al tempo fissato”.

Che cosa vuol dire questo? Che è proprio così impossibile sconfiggerlo e che quindi dobbiamo rassegnarci ad accettarci per quello che siamo, limitati e schiavi del male? Niente affatto: perché il male, anche se torna e si ripresenta, ha comunque e sempre le ore contate. E se ora accettiamo la fatica di metterci in cammino con Gesù nel deserto, a Pasqua capiremo perché il male non ha l’ultima parola sul mondo e sull’umanità.

 

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