PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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AVVENTO 2018 - Materiale 2.o incontro - DESERTO

Nel cosmo, nel deserto, nel grembo

Dove attendi l’arrivo del Signore?

2. Lo attendi nell’intimità sterile e autoreferenziale: comodo rinchiuderci nel nostro deserto!

 

1Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell'Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell'Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati,4com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
5Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. 6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! 7Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? 8Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: «Abbiamo Abramo per padre!». Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 9Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». 
10Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto».12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». 15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». 18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

(Luca 3, 1-18)

 

Che cos’è un deserto? In geografia è definito come un’area della superficie terrestre totalmente o quasi completamente disabitata in cui le precipitazioni quasi mai superano i 250 millimetri l'anno e il terreno è prevalentemente arido. Sempre si pensa che il deserto possegga poca vita, ma questo dipende dal tipo di deserto; in molti la vita è abbondante, la vegetazione si è adattata al basso tasso di umidità e la fauna si nasconde durante il giorno, il che significa che un deserto rende difficoltosa, se non impossibile, l’instaurazione permanente di gruppi sociali umani. I deserti costituiscono una delle aree più grandi del pianeta: la loro superficie totale è di 50 milioni di chilometri quadrati, circa un terzo della superficie della Terra. Il deserto è l'unico ambiente che può essere abbandonato dalla pioggia per anni: la parola “deserto” deriva infatti dal latino “desere” ("abbandonare"). Il deserto non è totalmente disabitato. Esistono popolazioni nomadi (come i Tuareg) che vivono nel deserto in tribù formate da poche persone, all'incirca 30 o 40 membri. Essi si dedicano soprattutto alla pastorizia e all'agricoltura, sviluppata nelle oasi (formatesi quando l'acqua sotterranea affiora in zone ristrette). Ma nel deserto esistono anche veri e propri villaggi, soprattutto nell’America meridionale e settentrionale.

Nella Bibbia, sono due i luoghi desertici principalmente descritti: il deserto di Giuda, al centro del paese, solcato dalla valle del Giordano, luogo dove predicava Giovanni Battista, e il deserto del Negev, a sud del paese, al confine con il Sinai e la striscia di Gaza. La Parola di Dio, nella Bibbia, cade quasi sempre nel deserto, il luogo del silenzio, il luogo del non disturbo, il luogo dove si è fuori da tutti i giochi di potere, il luogo della povertà estrema, per uscire dal quale devi camminare, sennò muori, perché lì non c’è nulla. È il luogo fondamentale dove l’uomo sperimenta i suoi limiti, dove ha bisogno di tutto, dove si può sopravvivere solo insieme con altri, in solidarietà, perchè se sei da solo, muori subito. È il luogo della prova e della tentazione; ma è anche il luogo dove si sperimenta chi è l’uomo e chi è Dio, il luogo della fedeltà, della manna, della Parola, del cammino, dell’acqua. Il deserto è un luogo fondamentale, perchè lì l’uomo si sperimenta per quello che è, si forgia; come il silenzio è il luogo dove nasce la Parola, il deserto è il luogo dove nasce e si forma l’uomo, costretto a uscire, a farsi forza, ad andare avanti per continuare a sperare di vivere. Il deserto, in sostanza, ci riconduce a una domanda: che cosa ne faccio della mia vita e di quella degli altri? Lascio che si inaridisca o cerco l’opportunità di farla rifiorire?

Nel deserto appare la figura di Giovanni il Battista, un’icona vivente di tutto l’Antico Testamento, colui che condensa in se stesso tutte le caratteristiche della storia d’Israele. Il Battista rappresenta quell’uomo vero, che può finalmente accogliere il Signore che viene e raggiungere così la completezza, perché l’uomo è immagine di Dio. La caratteristica fondamentale del Battista è che è una persona eccentrica, non solo perché originale, ma perché ha il centro della sua vita fuori da sé. L’uomo credente è per sua struttura eccentrico, perchè il suo baricentro è fuori da lui. Il Battista ci aspetta là fuori. Se non passiamo attraverso il battesimo del Battista, non possiamo conoscere Gesù: Gesù lo incontriamo proprio mentre andiamo a farci battezzare sul Giordano dal Battista, il luogo d’incontro tra noi e Gesù è esattamente il battesimo del Battista. E battezzare vuol dire “andare a fondo”. Il Battista è l’uomo che va al fondo della realtà umana, lì dove incontriamo il Signore.

El Greco, 
“San Giovanni Battista”, 1603,
San Francisco Young Memorial Museum 

Il nostro testo comincia con sette nomi, dove s’intrecciano nomi di pagani e di ebrei, nomi politici e nomi religiosi. Sono i grandi nomi che fanno la storia, cominciando da Tiberio Cesare, passando dal procuratore governatore Ponzio Pilato, mandato in Palestina dopo averla occupata militarmente, e poi dai re fantocci locali che dipendono da loro due. Infine, ci sono i capi religiosi, che in qualche misura si accordano per tenere il potere. Questi personaggi li ritroviamo tutti - almeno i principali - nella passione di Gesù. Sono coloro che fanno la storia, quella storia che gli uomini devono portare sulle spalle e che il Figlio dell’Uomo porterà pure sulle spalle, con la croce. Ed è in questa storia che “cade” la Parola di Dio. Il centro della storia è la Parola che cade su Giovanni. È il profeta degli ultimi tempi, come l’Elia che deve venire.

Giovanni si presenta in due luoghi: nel deserto e lungo il fiume Giordano. Il deserto richiama ovviamente l’Esodo, quando si è già usciti dalla schiavitù d’Egitto; il Giordano richiama la Terra Promessa, quando però ancora il popolo non vi è entrato. La sua missione è portare il popolo dalla libertà ormai ottenuta, all’ingresso della terra promessa: e lo farà innanzitutto preparando la strada, la via alla terra promessa, che altro non è se non Gesù. È bello vedere che la Parola “cade” in questo terreno che è il deserto come se fosse un seme. Non è una Parola che ha una corsia preferenziale, non è fuori dallo spazio e dal tempo: cade in quel momento, in quella situazione, in quel luogo, in quella storia. La Parola di Dio si avvolge nella storia dell’uomo e lì opera la salvezza. La Parola cade su Giovanni, figlio di un sacerdote, ribellatosi alla casta del padre, e non nel palazzo di Tiberio Cesare, di Ponzio Pilato, di Erode, di Filippo suo fratello, di Lisania, né dei sommi sacerdoti. Giovanni, nel Giordano, proclama “un battesimo”, che non ha il significato di “abluzione”, cioè una limpidezza legata alla ritualità sacerdotale: il battesimo di Giovanni è immergersi nell’acqua, e immergersi vuol dire andare a fondo, e andare a fondo nell’acqua – simbolo non di vita, ma del male e della morte, in molte parti della Bibbia - vuol dire morire. Quindi, il battesimo di Giovanni è un riconoscere la propria natura mortale, il proprio limite: siamo limitati, siamo umani, cioè da mettere nell’humus, in terra, siamo da seppellire. Il battesimo, con la sua dimensione di sepoltura dell’uomo mortale, è una protesta contro la morte, perché vuole far rinascere a una vita nuova, esprime il desiderio assoluto di vita che va oltre la morte, come avviene per il seme nella terra. Ed è la caratteristica fondamentale dell’uomo: il desiderio, la speranza di vincere anche contro la morte.

L’uomo è desiderio, desidera sempre di più. È desiderio di vita, è desiderio infinito. Siamo immagine di Dio perché siamo aperti a questo desiderio infinito, a questa pienezza di vita. Il battesimo contiene simbolicamente entrambi gli aspetti: la coscienza del proprio limite e il desiderio di andare oltre. Perché il battesimo di Giovanni è un battesimo di conversione? Noi in genere nella nostra vita non facciamo altro che lottare contro il nostro limite strutturale, contro la morte: è una lotta disperata, e conduciamo spesso una vita triste, che esprime solo morte, perché tutta intenta a questa lotta ineluttabile. Allora occorre una conversione, girare pagina: la nostra vita non è destinata lì. A cosa dobbiamo arrivare? Il peccato originale dell’uomo, secondo la Bibbia, consiste nel non avere accettato il proprio limite, quello di essere creatura di Dio. Non lo accetta perché pensa che Dio sia un concorrente, un antagonista. E allora il battesimo di conversione di Giovanni chiede di tornare al culto del vero Dio, di preparare la via del ritorno verso la terra promessa, una via di cui bisogna sistemare i sentieri, colmare i burroni, spianare le colline. Sono tutti significati simbolici: “riempire i burroni” e “spianare le colline” vuol dire livellare tutte quelle alture di “delirio”, di “onnipotenza”, per fare una strada che ci permetta di entrare diritti nella promessa di Dio. Il punto d’arrivo qual è? “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. “Uomo” qui è reso con il termine sarx”, carne (“Il Verbo si fece carne”), che indica la sua fragilità: la salvezza allora è offerta a ogni uomo che riconosce il proprio limite. Da un deserto in cui si udiva solamente una voce che gridava, siamo già arrivati a un deserto che permette di contemplare la salvezza.

Dopo di chè, Giovanni cambia registro e apostrofa la gente come “razza di vipere”. Mentre in Matteo si rivolge in questi termini solo ai capi religiosi (a indicare la loro ipocrisia), in Luca Giovanni si rivolge alle folle. “Razza di vipere” sarebbe da tradurre con “stirpe del serpente”: l’uomo di per sé è figlio di Dio, ma siccome è stato generato dalla Parola che ha ascoltato, Adamo – e dopo di lui ogni uomo – dopo aver ascoltato la Parola di Dio ha dato retta alla parola menzognera del serpente, che così l’ha generato alla menzogna. E che siamo figli del serpente, ne abbiamo la prova ogni giorno: guerre, ingiustizie, oppressione, fame nel mondo, omicidi... E per di più continuiamo a dire di essere “figli di Abramo”, ossia figli di Dio. Non possiamo essere cristiani e accettare la violenza, l’ingiustizia e la guerra (o addirittura mangiarci anche sopra), abusando del nome di Abramo, di Dio, o di Gesù Cristo a difesa della nostra civiltà cristiana. “L’albero che verrà bruciato perché non dà frutto” richiama infine Malachia 3, l’ultimo capitolo dell’Antico Testamento, dove si parla del giudizio di Dio che viene a eliminare il male dal mondo: quest’ultima, forte affermazione inizia a provocare la reazione degli interlocutori di Giovanni.

Caravaggio, 
“San Giovanni Battista”, 
1604, Roma, Galleria nazionale d’arte antica.

E qui vediamo come la reazione riguardi tre categorie di persone. La prima è quella delle folle, quindi tutta l’umanità, immersa nel male. Poi c’è quella dei pubblicani, una categoria particolare di ricchi che aveva l’appalto dai Romani di riscuotere le tasse: avendo una posizione di privilegio, era la categoria più odiata di tutte perché per conto dell’oppressore rubava alla gente e li imbrogliava. Rappresentano quelli che raccolgono il denaro in nome dello stato (che così aumenta il suo potere) e in nome proprio, perché vi aggiungevano un balzello (una “accisa”, diremmo oggi). E poi c’è la terza categoria, i soldati, i possessori delle armi con le quali si ottiene tutto, anche ciò che non si può ottenere col denaro. Tutte queste categorie insieme rappresentano lo svolgersi della storia, e tutti si chiedono che cosa fare.

Questa domanda del “che cosa faccio” è la domanda tipica dell’uomo che non è programmato dall’istinto: l’animale non si chiede che cosa deve fare, fa sempre tutto giusto perché è mosso dall’istinto. Infatti, l’animale che sbaglia non puoi correggerlo, lo puoi solo abbattere, perché è guidato dall’istinto. Questa domanda del “che cosa devo fare” uscirà altre volte nel Vangelo di Luca e negli Atti. A questa domanda, l’amministratore infedele (Lc 16,1-8) risponde “so io che cosa devo fare”, il ricco stolto (Lc 12, 13-21) pure: sappiamo bene che fine fanno quelli che “sanno già cosa fare”, che non si interrogano, che si lasciano guidare dall’istinto animale del denaro. Il giorno di Pentecoste, invece, dopo la predicazione di Pietro tutti si chiedono “Che cosa dobbiamo fare?” (Atti 2,37). Nell’uomo che sbaglia a valutare e se ne rende conto, rimane aperta la domanda: “Che cosa fare?”. Nel “fare” confluiscono l’intelligenza e la volontà, le due caratteristiche tipiche dell’uomo, che lo rendono diverso dall’animale e simile a Dio: in una parola sola, la libertà. Se intelligenza e volontà vengono usate per fare schiavi altri, allora diventano intelligenza e volontà di morte, cioè diaboliche.

Le risposte che il Battista dà sembrano un po’ scontate, banali: “Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto”; “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”; Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”. Ci aspetteremmo un Battista che contesta il potere, che organizza la rivoluzione in modo che il popolo finalmente diventi sovrano e padrone… e invece…

In realtà, queste risposte sono più intelligenti di quel che pare e minano alla radice i criteri che governano il nostro modo di agire. Vestito e cibo sono due cose che l’uomo deve procurarsi: il cibo così come fa l’animale, i vestiti sono un di più, rispetto a ciò che fa l'animale. Un animale, se ha dei viveri, è difficile che ne dia la metà all’altro. Così facciamo noi, quando i beni che abbiamo ce li teniamo per noi e diciamo che sono nostri. La nostra giustizia è: “A ciascuno il suo”, dove per “ciascuno il suo” s’intende “prima quello che è mio”. Nella legge della giungla, non c’è nessuna legge, c’è solo il momento di forza e di violenza. Quando il più forte, il più prepotente ha rubato tutto, stabilisce lui la legge: “Adesso a ciascuno il suo e guai a te se mi rubi quel che è mio!”. In fondo, ogni legge è imposta da chi ha il potere per giustificare il proprio dominio: non si è mai vista una legge che venisse promulgata da chi non ha il potere. Qualora qualcuno si ribelli, ci sono le armi per mantenerla e c’è il denaro per governarla. Il Battista tratta alla radice questo concetto di giustizia, che in realtà è un’enorme ingiustizia. Dare una delle due tuniche a chi non l’ha, vuol dire che non devi accumulare, te ne basta una, e l’altra è del tuo fratello: questa è la giustizia di Dio, che è Padre. Quello che abbiamo in più serve per entrare in comunione con i fratelli, non per dividerci da loro. Non dobbiamo fare le guerre per avere il petrolio tutto per noi e consumarlo tutto noi, mentre gli altri muoiono di fame. Se sequestrano un potente della terra, chiedendo un riscatto di milioni di dollari, questa cosa diventa notizia mondiale; mentre non fa notizia quando i milioni di cui si parla non sono i dollari, ma le persone che muoiono di fame. È il senso della proporzione che ci manca: quando usciremo da questo delirio? Quando sapremo che un povero disgraziato agli occhi di Dio vale quanto il presidente degli Stati Uniti, anzi, di più, perché Dio si è identificato con l’ultimo degli uomini. Questa è la giustizia di Dio: e quando noi capiremo questo, vedremo il mondo cambiare.

Quando parla ai pubblicani, Giovanni non contesta lo stato e le tasse: l’uomo è un animale politico, diceva Aristotele, quindi è giusto che paghi le tasse perché si distribuiscano i proventi e si offrano dei servizi. Non si mette neppure a contestare il dominio romano, perché potrebbe anche esercitare la giustizia. Giovanni non pensa a una rivolta fiscale, provocando danni in attesa di qualcosa di migliore: nella situazione che c’è, dice cosa sia possibile fare per ottenere il bene, cioè che queste tasse servano davvero per il bene comune senza esigere di più di quello che si deve.

Per quanto riguarda i soldati, è chiaro che ci vuole la forza per far rispettare la pacifica convivenza civile, perché i delinquenti ci sono sempre stati (anche se, quando diventano capi, le armi sono al servizio loro…): le armi, quindi, devono essere a servizio della giustizia e contenere la violenza, mentre quasi sempre hanno solo il potere di distruggere tutto. Ci vuole, quindi, una nuova coscienza. Giovanni non contesta in sé il “fare il soldato”, ma lo si deve fare a una condizione: ricevere la propria paga, senza vessazioni (cioè minacciare estorcendo qualcosa perché si possiedono le armi).

Che fare, allora, dei nostri beni, del nostro denaro, della nostra forza? Convertirci, ovvero usarli nel modo esattamente opposto rispetto al quale normalmente li usiamo. I beni non si usano per accumulare, ma per condividere, per cui tieni per te solo il giusto. Ecco qui il confronto di Luca con la storia che va avanti e con la quale si è aperto il brano: in questa storia priva di Dio e piena dei vari Tiberio Cesare, Ponzio Pilato, Erode di turno (con i quali a volte vanno a braccetto anche Anna e Caifa), come possiamo vivere il nostro essere cristiani?  

Un ventilabro, ovvero “ol műlinél”

Infine, la gente si chiede se Giovanni sia il Messia. Davanti a questa domanda, Giovanni dice una cosa stupenda: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Io v’immergo nella nostra realtà, nel nostro limite, nella nostra mortalità, e poi vi tiro fuori, sennò morite. Ma chi viene dopo di me vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco, cioè non in morte, ma in Spirito, che è la vita, la vita di Dio. Allora, accettando di vivere la nostra umanità, il nostro limite, la nostra fragilità, lì incontreremo Dio stesso. Dio non è altro che il compimento necessario della nostra umanità limitata, è coscienza del nostro limite e protesta contro il limite, perché è desiderio di infinito. Nel tuo limite incontrerai il Cristo, che ti battezzerà in Spirito Santo e fuoco e che ti sottoporrà a giudizio. Brucerà la pula che non serve, così come non serve il male nella storia. Brucerà il male, non i cattivi: ecco la differenza tra noi e Dio. Noi siamo specialisti nel far fuori i cattivi (che, chissà come mai, sono sempre gli altri….). Dio, invece, muore per tutti i peccatori. Lui non fa fuori nessuno: fa fuori il male nel suo corpo sulla croce, brucia il male del mondo tramite il fuoco inestinguibile del suo Amore.

Un setaccio, in altre parole “ol criél”

Quello che fa Dio è un’operazione ben espressa attraverso questo strumento del ventilabro: fa’ sì che voli via il rivestimento del grano, la pula – che brucerà – e salva il grano. L’operazione che noi quotidianamente facciamo, è un po’ l’operazione opposta con un altro strumento, il setaccio, con il quale lasciamo scendere la farina e tratteniamo la crusca, cioè diamo per scontato che una persona abbia delle buone qualità, e allora evidenziamo i suoi difetti e su quelli ci concentriamo, mentre Dio salva il grano, cioè il buono che c’è nell’uomo, e brucia quelli che sono i difetti. Il significato più grande della figura di Giovanni, alla fine, sarà l’attesa: egli è l’uomo dell’attesa. Non si può attendere tutta la vita: a un certo punto, Giovanni andrà in carcere e smetterà di attendere. Finisce l’attesa, perché arriva l’Atteso.

 

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