PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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Domenica 24 marzo 2019 - III Domenica di Quaresima – Anno C

1ª lettura: Es 3,1-8.a13-15

2ª lettura: 1 Cor 10,1-6.10-12

Vangelo: Lc 13,1-9

 

Ecco ora il tempo della pazienza

 

Dialoghi in famiglia:

A fare buttiamo via tempo e soldi, per farlo studiare? Non otteniamo niente! Ci mangiamo il fegato dalla rabbia e basta! Da quest’estate viene con me sul cantiere, e morta lì!”; “No, dai, è stato un anno così…vedrai che si riprende. Gli ha fatto bene essere bocciato, gli servirà a maturare!”;

Io l’antibiotico non lo prendo più, basta! Continuano a cambiarmi cura e non risolvono niente: preferisco tenermi la mia tosse. Tanto, di qualcosa bisogna morire: o no?”; “Ma dai, cosa ti costa? Una pastiglia al mattino e una la sera: tanto, te le preparo io sul tavolo! Ne hai provate tante, prova anche questa…”;

Già che sto facendo il giardino, tiro su anche la tua ortensia: non vedi che non fa più nemmeno un fiore? Dai, mettiamo giù qualcosa d’altro!”; “No, per favore, era la pianta di mia mamma… vi era così affezionata, ogni volta che la guardo mi ricordo di lei. Lasciala lì ancora per quest’anno, poi ci pensiamo, ok?”.

Dialoghi sul lavoro:

            “E questo qui sarebbe lo stagista? Ma non è capace di fare niente! Cosa gli insegnano all’Università? A sognare il posto fisso? Ma ti raccomando…dai, meglio che se ne vada: quanto mai abbiamo firmato la Convenzione con la Facoltà…”; “Beh, su, via: dagli tempo! Cosa ci perdi? Niente! Nemmeno tu sei arrivato in azienda già capace di fare le cose, solo che non te ne ricordi: vedrai che poco a poco imparerà!”.

Dialoghi in parrocchia:

            “Mamma mia, quel prete lì che sofferenza: è una vita che è qui e non si è ancora abituato alla gente! Non fa mezza parola, è sempre sulle sue, non prende posizione su nulla… e poi, a messa, una pizza… dormono tutti, quando predica!”; “Beh, sì, è vero, sarà anche un po’ così di carattere. Ma lasciamogli un po’ di tempo: io sono sicuro che poi si esprimerà al meglio, vedrai!”.

            Sono proprio dialoghi all’ordine del giorno. E sono simili, se non identici, al dialogo tra un vignaiolo e il suo padrone, nel momento in cui quest’ultimo, come ci narra la parabola di oggi, va a cercare fichi su un albero che di produrre frutti, proprio, non ne vuole sapere. E allora, con tanto sano pragmatismo e un po’ di buon senso, il padrone chiede al suo operaio di tagliare questa pianta che non serve a nulla (se non, forse, a fare un po’ di legna da ardere) per dare spazio, nel terreno, a una pianta nuova che possa iniziare a dare qualche frutto. Il ragionamento non fa una piega: sennonché, si scontra con l’obiezione benevola, priva magari di buon senso, ma di certo ben motivata e giustificata, del contadino, che vuol provare ancora a insistere un po’, a concimare, a vangare e a far respirare il terreno, chissà che magari quel fico possa tornare a dare qualche frutto.

Me lo immagino, quel contadino, così appassionato e affezionato al suo lavoro da non voler lasciare nulla di intentato, perché lui, quella pianta, come tutte le altre piante dell’orto, come ogni singolo filare di quella vigna, la conosce bene, la vede ogni mattina, è capace – magari - di averle pure dato un nomignolo, come fanno tanti contadini e ortolani talmente affezionati alle loro piante, ai loro arbusti, ai loro ortaggi, alle loro verdure, da giungere perfino a parlare con loro, perché c’è anche chi sostiene, tra mito e fantascienza, che parlare alla piante fa bene alla loro salute. Chi lo sa? Di certo, strapparle non perché morte o malate, ma perchè danno solo foglie e non frutti, a un contadino che le conosce una a una pare di commettere un delitto.

            Se poi questo contadino ha delle fattezze divine, perché protagonista di una parabola che ci parla di Dio, beh, allora, forse, non stiamo parlando di un pazzo con manie ambientaliste, ma di qualcuno che, se fa così con il mondo vegetale, quanto più lo farebbe con le persone. Cosa che non è da tutti, per la verità. Perché noi, con le persone infruttuose, inutili, incapaci di fare qualcosa di valido e di buono, parassite della società, approfittatrici, spesso non usiamo mezzi termini: le definiamo non solo inutili, ma anche dannose, e allora la soluzione migliore è di eliminarle, per evitare quantomeno che diventino contagiose. E la cosa diviene ancor più aberrante quanto “divinizziamo” certi concetti, e invochiamo l’intervento divino perché elimini le mele marce dalla canasta dell’umanità. Perché spesso siamo convinti che eliminando chi fa il male o chi non serve a nulla, eliminiamo il male e superiamo il nulla: pura follia!

Ci hanno provato anche i Giudei di Gerusalemme con Gesù, dandogli notizia di che fine hanno fatto i suoi compaesani, Galilei rivoluzionari come lui, fatti trucidare da Pilato mentre si trovavano nel tempio ad offrire sacrifici. Per la ragion di stato, questo e altro: i potenziali nemici e parassiti della società vanno eliminati senza mezzi termini per il bene comune. E come sarebbe migliore il mondo, se anche Dio facesse così, ogni tanto!

Ma Dio non ragiona così. E per fortuna: non si salverebbe nessuno. Perché per diffondere il male, non è necessario commettere delitti, abomini, attentati, furti o quant’altro: è sufficiente evitare di pensare positivo, di pensare bene, di dare sempre un’opportunità a chi sbaglia. Se pensiamo che di fronte al male che una persona compie, l’unico modo è di eliminare la persona, non siamo nella logica di Dio. Se invece iniziassimo tutti a pensare positivo, e che c’è sempre una speranza per tutti, forse anche il mondo sarebbe un po’ meno peggio di quello che è. Certo, ci vuole pazienza. La stessa che Dio ha nei nostri confronti.

 

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