PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 28 luglio 2019 - XVII Domenica Tempo Ordinario – Anno C

1ª lettura: Gn 18,20-32

2ª lettura: Col 2,12-14

Vangelo: Lc 11,1-13

 

Un Dio chiamato Padre

 

Che l’uomo - a lui piaccia o no - sia tenuto a fare la volontà di Dio, credo che a nessuno suoni strano. Ma che Dio accetti di fare secondo quanto l’uomo chiede a lui di fare, non è una cosa proprio così scontata… eppure la preghiera pare abbia questo potere convincente, nei confronti di Dio.

Come mai? Forse che l’uomo abbia dei meriti di fronte a Dio in virtù dei quali possa ottenere da lui tutto ciò che gli chiede, come se Dio dovesse “sdebitarsi” di fronte a lui? O che Dio sia talmente stanco di ascoltare tutte le lamentele e le richieste degli uomini da giungere al punto di lasciarsi cadere le braccia e concedere ciò che essi gli chiedono, purché non lo molestino più? Non credo sia così. E forse non è proprio così vero che Dio ascolti tutte le nostre richieste. Almeno, l’esperienza mostra più volte che tante suppliche rivolte a Dio (e non escludo che siano state fatte con fervore) non sempre hanno dato l’effetto desiderato dal richiedente. “Si vede che ciò che si era chiesto non era la volontà di Dio” è una delle risposte più immediate se non banali che noi preti diamo in questi casi…

Se questo può funzionare ascoltando la prima lettura di oggi (Abramo è capace di ottenere da Dio ciò che con insistenza gli chiede proprio per i meriti che gli derivano dalla sua profonda fede), il criterio non è applicabile al Vangelo che abbiamo ascoltato: buoni o cattivi che siamo, Dio ci ascolta indipendentemente dai nostri meriti, dalla nostra fede e dalle nostre opere.

Ma allora, qual è il criterio di Dio nei confronti delle nostre suppliche? Perché alcune vengono ascoltate e altre no? Ma la domanda è soprattutto una: cos’è la preghiera? E come si costruisce? Come si prega? Anche noi, oggi, come i discepoli quel giorno, forse un po’ invidiosi di quel Maestro che passava diverse ore in preghiera, siamo qui a chiedere a Gesù: “Signore, insegnaci a pregare”.

Quello che emerge dalle letture di oggi, forse, è che la preghiera non è questione di molte parole rivolte a Dio, o di richieste insistenti che portino Dio a cedere ai nostri desideri. La preghiera, invece, pare essere questione di fiducia reciproca tra Dio e l’uomo, e quindi d’intesa tra i due, e quindi di dialogo. Perché Dio fa ciò che Abramo gli chiede, accettando di desistere dal suo furore nei confronti di tutti gli abitanti di Sodoma e Gomorra e di conseguenza permettendo che la famiglia di Lot, parente di Abramo, possa salvarsi? Credo che ciò sia dovuto al fatto che Dio sa di potersi fidare di Abramo, perché Abramo ha sempre fatto la sua volontà, e quindi si è sempre fidato di Dio, così come la sua vicenda personale ci mostra.

In un contesto di fiducia reciproca tra noi e gli altri, sappiamo bene che possiamo chiedere loro ciò di cui abbiamo bisogno, perché siamo certi che “se chiederemo un pesce non ci verrà data una serpe, o se chiederemo un uovo non ci verrà dato uno scorpione”. Se tra noi e Dio esiste un rapporto di profonda e reciproca fiducia, sappiamo bene che ciò che a lui chiederemo nella preghiera, non ci verrà negato. Questione di fiducia, quindi, prima ancora che di fede.

A Gesù, però, non basta insegnare questo ai discepoli attraverso delle parole o degli atteggiamenti. Egli si preoccupa innanzitutto di annunciarci che questa fiducia reciproca nei confronti di Dio è possibile perché ci è concesso, con lui e in lui, di instaurare con Dio un rapporto di figliolanza. Da Cristo in poi, il rapporto di fiducia con Dio è possibile perché Dio è Padre. E un padre che si dica degno di questo nome non abbandona mai i suoi figli.

È sulla scorta di questo nostro essere figli che “chiederemo e ci verrà dato, cercheremo e troveremo, busseremo e ci verrà aperto”. È con questa certezza che Gesù ci invita a rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”.

E non più Padre Nostro, come nel Vangelo di Matteo, ma qui in Luca semplicemente Padre, per evitare che diventi una nostra esclusiva, perché essere figli non sia una nostra prerogativa, perché egli possa essere padre di ogni uomo. Un padre che rimprovera ed esorta, che colpisce e accarezza, che a volte ci tratta un po’ bruscamente ma che in realtà è orgoglioso di noi. Lui ci permette, sì, di chiamarlo Padre, ma ci chiede di fare in modo che tutti lo sappiano, che tutti gli uomini sappiano che il suo nome è quello, e che da tutti “il suo nome sia santificato”.

E quando il suo nome di Padre regna in mezzo a noi, tutti gli altri “regni”, tutti gli altri tentativi di rendere gli uomini schiavi dei potenti devono essere eliminati dalla faccia della terra, perché sulla terra ci sia un solo Regno, perché sulla terra “venga il suo regno”.

Solo questo, ci è chiesto. Non altro. Il nostro impegno nei suoi confronti finisce lì. Adesso possiamo veramente chiedergli tutto, perché lui è Padre, e provvede a tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno: del “pane quotidiano”, di un lavoro degno di essere chiamato tale, di un calore umano che spesso non abbiamo, di una vita che sia piena e felice, di poter camminare sicuri sulle strade della nostra esistenza quotidiana senza essere “abbandonati alla tentazione” di fare a meno di lui.

Un piccolo impegno, in realtà, ci è chiesto, perché questa reciproca fiducia non venga mai meno: che sappiamo “perdonare chi ci fa del male, così come Dio perdona i nostri peccati”.

Ci sembra troppo? Ci sembra eccessivo dover accettare le scuse degli altri? Lui ci dimostra che si può addirittura fare di più, perchè nessun perdono che possiamo offrire agli altri sarà mai più grande di quello che giunge a perdonare e addirittura ad amare i propri nemici.

A noi potrà sembrare molto, doverci sforzare di perdonare gli altri così come Dio fa con noi: ma il dono che riceviamo in cambio – poter chiamare Dio con il nome di Padre e ottenere da lui ciò di cui abbiamo bisogno – sarà sempre, infinitamente di più.