PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Notiziario Dicembre 2017

 

Gettiamoci il futuro alle spalle!

La fine di un anno rappresenta sempre un tempo di bilanci. Ci si guarda dentro, per fare un po’ di esame di coscienza e analizzare le nostre scelte e i nostri comportamenti, ma soprattutto si guarda indietro, si fa passare il calendario, si guardano i giorni trascorsi e si pensa a tutto ciò che si è vissuto, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, nell’entusiasmo e nella fatica. Si tiene di buono quanto si è fatto, si scarta quanto non è andato a buon fine, come si fa dopo un raccolto, cernendo il buon grano dalla gramigna; si cerca di dimenticare le sofferenze e di ricordare solamente i momenti lieti; si fa pure un bilancio delle relazioni che abbiamo mantenuto con le persone, e si gioisce di quelle che ci hanno portato gioia, ci si rammarica di quelle che, invece, sono state relazioni difficili, piene di alti e bassi, a volte anche con risvolti molto faticosi, se non drammatici. Insomma, come quando si passa qualcosa al setaccio o al colino: si cerca di tirar fuori dall’anno trascorso solo il buon vino, l’olio buono, le cose per cui è valso la pena faticare.

E si cerca di guardare con fiducia e speranza al futuro, guardando avanti e lasciandoci alle spalle quello che è stato il passato, soprattutto se doloroso e faticoso. Già, perché nel nostro orizzonte semantico, ovvero nel significato linguistico che diamo ai termini e alle espressioni del nostro parlare comune, quando diciamo che “ci siamo lasciati alle spalle qualcosa” vogliamo significare che una certa situazione l’abbiamo vissuta e in qualche modo superata, e che quindi appartiene al passato, si trova - appunto - alle nostre spalle.

Devo essere sincero che anch’io l’ho sempre vista così, e tutto sommato la vedo ancora così. Ma diversi anni fa ho avuto anche la possibilità di guardare al concetto di passato come “qualcosa che ci siamo lasciati alle spalle” da una prospettiva completamente diversa, e devo dire che è stato particolarmente arricchente. Mi piace condividerla con voi, al termine di quest’anno che se ne andrà via aprendoci alla prospettiva di un anno nuovo, con il suo carico di ricchezze e d’incertezze. Tutto risale agli anni meravigliosi della mia gioventù… ovvero a quella decade a cavallo tra i due millenni durante la quale mi trovavo in missione tra le popolazioni Quechua dell’altopiano boliviano. “Quechua”, sì, proprio come il nome della famosa marca sportiva che ispira il proprio abbigliamento e materiale da montagna ai popoli delle alte montagne del Sudamerica, anche se la storia ce li ha sempre tramandati con il nome dei loro sovrani, gli Incas. Ecco, proprio la lingua quechua (apprendere la quale mi è costato circa tre-quattro anni, tanto è ricca e complessa) mi aveva fatto questo regalo a proposito del concetto di futuro. La parola “futuro”, “prossimo”, “quello che verrà” (ad esempio la domenica prossima, l’anno venturo, ecc.) si esprimeva con la locuzione “che mi sta alle spalle”: per cui, la domenica prossima si diceva - ad esempio - “la domenica che mi sta alle spalle”. Per contro, il concetto di “passato”, di “scorso” o “trascorso” si traduceva con una frase che suonava come “ciò che ho davanti agli occhi”. Per cui, “l’anno scorso” si diceva “l’anno che ho davanti agli occhi, di fronte a me”. “Ma come? - mi sono chiesto quando ho incominciato a realizzare quella che consideravo un’incongruenza - Il futuro è ciò che sta davanti ai miei occhi, di fronte a me, e per contro il passato è ciò che sta alle mie spalle: come posso esprimere queste cose  dicendo l’esatto contrario?”. Cercavo di individuare qualcuno che mi aiutasse a capire il perché di una cosa che iniziavo quasi a considerare un errore grammaticale o sintattico. Un giorno trovai uno dei tanti “saggi” che abitano nei villaggetti sperduti dell’altopiano su cui sorgeva la mia parrocchia, adagiati su ripide coste di montagne desertiche, a un’altitudine che andava dai 3200 metri del punto più basso ai 5100 metri della comunità più isolata: parlando con lui del più e del meno, dell’abbondanza del raccolto di patate di quell’anno favorito da piogge poco torrenziali, della necessità di far arrivare l’acqua potabile a tutti i villaggi, e dell’impianto della corrente elettrica che dopo decenni dalla sua inaugurazione ancora non funzionava, osai porgli proprio questa domanda relativa al passato che sta davanti e al futuro che sta dietro. Ed egli si mise a ridere: “Perché? Cosa c’è di strano? Come dite voi in Italia?”. Io gli spiegai la cosa più ovvia di questo mondo: il futuro sta davanti a me, e il passato alle mie spalle. Non ottenni altro che una sonora risata che sapeva di sberleffo: “Certo che siete strani, voi ricchi europei: con tanti soldi, non siete capaci neppure di parlare correttamente! Come fai a dire che il passato è alle tue spalle? Il passato è davanti a te! Sei così distratto da non ricordarti più nulla di quello che hai vissuto? Hai già perso la memoria, per dire che il passato non è davanti a te? Il passato è davanti ai tuoi occhi, c’è poco da fare! Se tu pensi a quello che hai vissuto, è chiaro che sta ben fisso davanti a te, è parte delle tue certezze! Come fai ad avere certezza delle cose che stanno alle tue spalle? Alle tue spalle stanno le cose che non vedi, e le cose che non vedi sono quelle che puoi solo sognare, immaginare, fantasticare, perché non sono ancora avvenute: sono le cose future, appunto! La domenica prossima sta dietro di te proprio perché non puoi ancora vederla: davanti ai tuoi occhi hai la domenica scorsa, che vedi chiaramente perché l’hai vissuta! Siete proprio indietro tanto, voi gringos!”. Siccome mi costava ammettere che avesse ragione, ho risposto con un “Boh…sarà, ma a me non convince!”.

Adesso, invece, con l’incedere incalzante degli anni che nessuno può fermare, la cosa mi convince: e mentre il futuro continua a rimanere per me pieno di sogni, di desideri, di speranze, di attese, sono pervaso da un realismo che mi fa guardare con maggior certezza non a ciò che sarò, ma a ciò che sono e che sono stato, alla mia storia, al mio passato, alla storia della mia famiglia, alle vicende sociali che hanno portato alla creazione della mia personalità, alla storia a cui appartengo. Tutte cose che mi aiutano a vivere meglio il futuro perché non mi appare più così incerto come prima: porta con sé la certezza di ciò che è il mio passato, di ciò che sono stato fin qui, di ciò che è ben chiaro davanti ai miei occhi. I miei sogni per il futuro me li carico sulle spalle, come su uno zaino: non li vedo, non li conosco, li sento pesare su di me, ho un gran desiderio di aprire lo zaino e di tirarli fuori e realizzarli uno a uno. Ma non serve: ci penserà il tempo, ci penseranno i giorni e gli anni che passano, ci penserà la storia. E pensare che in questa storia, fatta di un futuro incerto, costruito sulle certezze di ciò che è stato il nostro passato, “Il Verbo di Dio si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”; è venuto a costruire il nostro futuro sulla certezza di essere figlio dell’umanità, discendente di Davide, figlio di un passato che non è ricordo nostalgico ma fondamento delle nostre vicende future. Perché “quello che è stato, è quel che sarà; quel che s’è fatto, è quel che si farà”: e sì che il saggio di quel villaggetto non aveva mai letto Qoélet…

Buon Natale e Buon Anno a tutti.

Don Alberto  

 

- La versione integrale del bollettino verrà pubblicata il mese prossimo -