PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

Domenica 15 luglio 2018 - XV Domenica T. Ordinario - B

1ª lettura: Am 7,12-15

2ª lettura: Ef 1,3-14

Vangelo: Mc 6,7-13

 

A due a due

 

 

Non so se esista una classifica di numeri “impegnativi”, nel senso di “faticosi” da vivere o da gestire: ma se ci fosse, in cima vi sarebbe sicuramente il numero due.

Essere il numero due è difficile in un’azienda o in un’impresa, perché vuol dire esserne ai vertici senza avere il comando, quindi dovendo comunque dipendere da uno che ti è superiore; essere il numero due è difficile calcisticamente parlando (almeno, stando alle numerazioni classiche delle maglie), perché rappresenta il ruolo del terzino, chiamato all’impegnativo compito di marcare gli attaccanti avversari difendendo la propria area di porta; essere in due è difficile nella vita familiare, perché a livello coniugale, quando i figli in casa non ci sono più o non ci sono ancora, senza nulla togliere alla bellezza della vita a due, essa costringe comunque ad affrontare le fatiche e le incomprensioni sempre e solo con l’altro o l’altra, e non avere un terzo su cui “sviare”…beh, le fatiche si sentono eccome (lo stesso vale per due fratelli: per quanto amore ci possa essere, se vivono ancora sotto lo stesso tetto e magari condividendo la stessa camera, ci sono momenti in cui essere in due è un peso vero e proprio…)!

Il due è il numero della doppiezza, della biunivocità, del bivio, dell’aut aut, del “non ci si scappa”, del “non puoi pretendere di avere ragione”, del “se facevo da solo, facevo prima”, e via discorrendo. C’è poco da fare: essere in due ha le sue gioie, ma ha parimenti (e forse ancor di più) le sue fatiche, perché ti costringe al confronto e alla messa in discussione, cose che pur essendo costruttive, tuttavia richiedono impegno e soprattutto sono un colpo duro all’orgoglio e all’individualismo, e in definitiva alla libertà. Non per nulla Kant diceva che la nostra libertà finisce dove inizia quella dell’altro: e, di fatto, il peccato entrò nel mondo non a causa di Eva – come malignamente il mondo sessista e maschilista è abituato a pensare – ma per via del fatto che la coscienza e la libertà di Adamo dovettero iniziare a confrontarsi con un’altra coscienza e un’altra libertà. Certo, la solitudine è brutta: ma potendo scegliere, l’antidoto ideale non sarebbe la coppia, ma almeno un nucleo di tre persone, perché il terzo spesso aiuta nella risoluzione dei conflitti, quantomeno per il fatto di mettere in minoranza uno dei due belligeranti.

In questa situazione, proprio per non farci mancare nulla alla fatica del credere, il Vangelo di oggi ci fa costatare che la missione della Chiesa, il suo annuncio di verità e di salvezza, nasce dal numero due: Gesù – che peraltro è un numero due, gerarchicamente parlando – invia i Dodici in missione non da soli e nemmeno a gruppetti, ma “a due a due”, ovvero nella modalità più impegnativa che potesse utilizzare. E se lo ha fatto, sicuramente ha voluto che ciò avesse un senso: il senso è quello per cui nessuno di noi può vivere la fede - e la testimonianza che ne consegue - da solo, ma è chiamato a confrontarsi, perché l’annuncio sia efficace, con l’esperienza di fede di un altro. Poi senza dubbio anche Gesù avrà sperato (come di fatto avvenne) che l’annuncio da parte di queste coppie di apostoli (cioè di inviati, nel senso etimologico del termine) potesse avere una generatività, e quindi si accrescesse il numero dei discepoli: ma il fatto di mandarli “ a due a due” ha costretto ognuno dei Dodici a confrontare la propria esperienza di fede con quella di un altro, di un solo altro, accettando anche la fatica dell’incomprensione, dello scontro, della discussione, così come la bellezza di non sentirsi soli.

Insomma, la morale della favola di oggi è che nessuno di noi può vivere la propria esperienza di fede in maniera onesta e corrispondente alla volontà di Gesù da solo. Deve necessariamente confrontarsi con un’esperienza altra, anche a costo di perdere tempo o di dover entrare in conflitto con la propria coscienza e la propria libertà. C’è poco da fare: puoi essere il catechista più preparato della parrocchia, ma non puoi lavorare da solo; puoi essere l’animatore del Cre più dinamico e più amato dai ragazzi, ma non puoi farlo da solo; puoi anche aver scoperto in Gesù Cristo la verità della tua vita di fede, ma finché non si confronta con quella di un altro, non può essere la verità; puoi essere bravissimo a fare le cose da solo, e non avere nessuno tra i piedi, ma se non le fai con gli altri, non stai costruendo la comunità.

E allora la tua fede, il tuo impegno, il tuo sforzo, la tua ricerca della verità rimarranno una bella cosa, esteticamente emozionanti, come lo è un tramonto fiammeggiante guardato dalla riva del mare: ma è pur sempre un tramonto, preludio al buio della notte. E la notte affrontata da soli fa paura.

Che il Signore ci liberi dalla “sindrome del due”: ma ancor di più, ci liberi dall’individualismo, dall’egoismo e da una fede personale e intimistica che per quanto possa essere forte e bella, non aiuta a costruire la Chiesa.