PARROCCHIA San Pietro Apostolo Bolgare

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AVVENTO 2018 - Materiale 1.o incontro - COSMO

Nel cosmo, nel deserto, nel grembo

Dove attendi l’arrivo del Signore?

1. Lo attendi nei destini della storia: verrà a mettere a posto le cose!

 

25Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti,26mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli, infatti, saranno sconvolte. 27Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

(Luca 21, 25-28)

 

Ci troviamo all’interno del cosiddetto “discorso escatologico” del Vangelo di Luca (21,8-36): un discorso profeticamente pronunciato da Gesù forse con quelle medesime parole (i tre vangeli sinottici, infatti, hanno molte concordanze al riguardo) ma che certamente risentiva di un fatto storico a cui tutti i lettori dell’epoca avevano assistito, ovvero la distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 d.C. Tuttavia, il discorso si concentra non sulla fine del mondo ma sul fine del mondo: perché viviamo? Perché siamo su questa terra? E come finisce la nostra storia: ha una fine, oppure ha un compimento? Ha una meta da raggiungere, oppure è la distruzione di tutto? 

La storia è quella che è: guerre, ingiustizie, migrazioni di popoli, sollevazioni di piazza, epidemie, carestie, terremoti, il meteo impazzito, gente che si ammazza all’interno della famiglia, gente che ammazza per difendersi, ragazzini che si accoltellano a scuola, discordie, dissidi… Ciò avviene da millenni: la storia è sempre uguale, dai tempi di Adamo ed Eva che hanno abbandonato Dio e si sono nascosti da lui, incolpandosi l’un l’altro; quindi i loro figli, che cominciano ad ammazzarsi l’un l’altro; è tutta una storia di violenza, che al momento della creazione non c’era. Finché eravamo creati a immagine e somiglianza di Dio, tutto bene: poi, è subentrata una falsa immagine di Dio, un’immagine di realizzazione di sé che ci fa pensare che le persone realizzate siano quelle che dominano, che hanno in mano la vita degli altri, come potrebbe essere Dio. Mentre Dio è il contrario. Questa storia può essere vissuta in due modi:

  • Il primo è come luogo di terrore, di paura (“Aiuto… Non ci si capisce più… Che brutto il mondo… Quanto male!”, e via dicendo). Ma il male che noi facciamo a noi stessi, lo facciamo per paura; la paura del male ricevuto ci spinge a fare ciò di cui abbiamo paura. Abbiamopaura di essere uccisi? Uccidiamo. Abbiamo paura di essere inferiori? Mettiamo i piedi in testa dell’altro. Questo porta alla violenza e alla fine del mondo.
  • A questo tipo di lettura il Vangelo contrappone un’altra lettura, un altro modo di vita: la storia è quella che è, e noi, in questa storia, siamo chiamati a vivere da figli di Dio e da fratelli, cioè siamo chiamati a testimoniare un modo diverso di vivere, un modo umano, l’unico possibile perchè la vita continui. È il luogo della testimonianza, per cui la stessa storia che è il luogo della violenza è anche il luogo della “martyria”. Si può vivere, cioè, concretamente questa storia con un amore più forte della morte e della violenza.

La nostra vita possiamo e dobbiamo viverla in questo secondo modo, per cui quando si parla della fine del mondo, si sbaglia approccio: il mondo era “finito” già dall’inizio, nel senso che Dio l’ha fatto perfetto, e se continuiamo a viverlo bene, rimane tale; mentre se facciamo il male, lo distruggiamo. I due modi, nella storia, avvengono contemporaneamente: tuttavia, ciò che vince è il Bene, perché anche nel male, nella persecuzione, nella menzogna, nella violenza, c’è un Amore più forte di tutte queste cose. Questa è la vita eterna, perché è la vita di Dio, che è fatto così. Le stesse vicende della storia, allora, possono essere vissute in due modi: o con rassegnazione, piegando le ginocchia al male, oppure guardando il male negli occhi e scoprendolo dentro l’uomo, nel nostro cuore, dove abbiamo la possibilità di farlo prevalere o di sopprimerlo.

Michelangelo Buonarroti

Il Giudizio Universale (part.), 1535-1541,

Città del Vaticano – Cappella Sistina

Il quadro descritto da questo brano di vangelo è il quadro definitivo della storia, quello dipinto così tremendamente nel testo del “Dies irae” attribuito a Tommaso da Celano (XIII sec.) e in molte opere pittoriche, soprattutto rinascimentali. Nei vangeli, però, questo quadro ha tutto un altro senso: non è un Dies irae, non è un giorno tremendo, è un’altra cosa, molto più bella. È l’incontro con il nostro Principio, con Colui che ci ama di amore eterno: è una sorta di “ritorno a casa”. Noi viviamo per andare verso una realizzazione piena, non verso la morte, ed è questo che cambia la qualità della vita. Di morire, moriamo tutti: se stiamo passivamente ad aspettare di morire, finisce che o viviamo nell’angoscia e ci ammazziamo prima del tempo, o ammazziamo gli altri; se invece ciò che aspettiamo è davvero la comunione piena d’amore, viviamo già ora in questa comunione. Questo incontro di comunione con Dio avviene qui e ora nella quotidianità, perché l’unico tempo che ci è dato di conoscere è il presente. Ci sarà anche un dopo, ma io non lo conosco, e soprattutto non posso viverlo ora: adesso devo vivere una sorta di “dopo definitivo”, quello che vale sempre, attraverso le uniche cose eterne di cui sono capace, l’amore e la vita.

Il testo di Luca parla del quadro finale della storia: il giudizio di Dio, con la venuta del Figlio dell’uomo. Dal punto di vista teologico, questo si realizza nella morte di Gesù: perché il giudizio di Dio sul mondo è la croce. Nella croce, infatti, il Figlio dell’uomo ha vinto il male con un amore più forte di ogni male, perdonando anche i nemici che lo mettevano in croce: per questo ogni male è già vinto sulla croce. Ciò che è avvenuto a lui, capita a ciascuno di noi nella quotidianità, ogni volta che sappiamo vincere il male con il bene; e questa quotidianità accade nell’arco di tutta una vita, nell’arco di tutta la storia umana. C’è quindi una visione positiva della storia: la fine del mondo cui a volte pare che stiamo assistendo, non è una distruzione, ma una gestazione, sono le doglie del parto della nuova umanità (cfr. Paolo ai Romani 8,22-27). E nella quotidianità, vivo già la vita nuova di chi vince il male con il bene, che è il pieno compimento di tutto. 

Il testo è costruito con la tecnica del “contrappunto”: da un lato tutto crolla, dal cielo alle stelle, alla terra, all’acqua (che invece di scendere dal cielo come pioggia, vi risale con i flutti del mare). Dall’altro, invece, tutto è positivo: viene il Figlio dell’uomo, e invece di spaventarci ci dice “risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. “Vicina” vuole dire che rimane al suo posto, che non è ancora avvenuta, quindi non c’è una fine del mondo imminente: tutto continua sempre uguale, perché quello che viene descritto (tragedie e disastri) sono già avvenuti e avverranno costantemente. Semplicemente, deve essere diverso il nostro modo di approcciarci con questa realtà

Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle”: di quali segni si tratta? Secondo la cronologia biblica, il sole è l’orologio cosmico che determina il giorno e la notte, la luna determina le settimane e i mesi, le stelle determinano gli anni e le epoche. Dire che ci saranno segni e che queste potenze saranno sconvolte, vuol dire che si romperanno le macchine del tempo, dando l’impressione che la vita sia finita, ed è esattamente la sensazione che abbiamo davanti a tutte le catastrofi (“Non c’è più il cielo e il clima di una volta”, diciamo spesso, e dopo un terremoto, nelle zone colpite il tempo sembra fermarsi a quel giorno e a quell’ora, le ore 21.00 del 6 maggio 1976 in Friuli… le 3.32 del 6 aprile 2009 a L’Aquila…). In pratica, si descrive il contrario della Creazione, dove Dio aveva fatto tutto bene, in maniera cronologicamente perfetta, scandendo in maniera precisa i giorni: aveva messo il cielo in cima, la terra sotto, e in mezzo il firmamento, in modo che l’umanità vi potesse vivere. Il male, invece, capovolge tutto il cosmo e lo fa regredire al caos: in mezzo a questo caos c’è l’uomo, sospeso tra il cielo che lo rivuole con sè, l’abisso che vuole inghiottirlo, e la terra su cui poggiano i suoi piedi che non sta mai ferma. L’uomo pare proprio senza alcuna via d’uscita. Il termine “in ansia”, in realtà è da tradurre “senza scampo”, “senza via d’uscita”: in fondo, quello che vogliamo quando ci troviamo in una situazione negativa, è una via di uscita, perché il male ci soffoca. Qui proprio non esiste soluzione: sei travolto dall’acqua e non puoi passare da nessuna parte, sei immerso, senza via di uscita. Questa è la situazione di “angoscia”: la presa di coscienza di andare a fondo, la coscienza di precarietà. È non aver più fiducia nella vita, ovvero credere che non ci sarà più nulla di positivo, che il male trionfa, che il mondo era bello una volta ma, ormai, è tutto rovinato: insomma, sembra proprio che il male trionfi.

Ma il vero male è semplicemente la nostra paura, perché è per la paura che facciamo il male, è per la non fiducia che il bene possa trionfare. Noi per la paura pieghiamo le ginocchia al male, ci assoggettiamo a lui e lo facciamo, distruggendo il bene. Allora, è ovvio che cadono anche gli astri, è chiaro che sprofonda anche la terra: essendo già sprofondati dentro di noi, presto o tardi anche avverrà fuori di noi. La terra e gli astri cantano la gloria di Dio, se noi cantiamo la gloria di Dio e abbiamo fiducia in lui; allo stesso modo, la terra piange la caduta dell’uomo, se l’uomo si lascia sprofondare. Vuol dire che il mondo esterno riflette il nostro mondo interiore: il vero dramma non sono i disastri che avvengono nell’umanità, ma è quello interiore, perché è capace di sconvolgere anche “le potenze dei cieli”.

La “potenza” è l’attributo tipico di Dio, e il cielo è Dio stesso, per cui dire “potenze dei cieli” significa dire la sostanza, l’essenza stessa di Dio. Nella croce di Gesù, l’essenza di Dio viene totalmente sconvolta; nella croce, crolla tutta la nostra idea di Dio. Dio non è più solo immortale, ma è un uomo; non è più solo un giudice, ma uno che è giudicato; non è più solo onnipotente, ma sta nelle mani degli uomini che fanno quello che vogliono di lui; non è più solo l’autore della vita, perché viene messo a morte. È tutto il contrario di ciò che pensiamo, per cui non abbiamo più nessuna certezza. Tutte le paure della nostra vita si rendono visibili sulla croce, perché la croce ci fa vedere il capovolgimento dell’immagine di Dio.

C’è un binomio interessante, nel testo, che dice che gli uomini “moriranno di paura” a causa dell’“attesa” di ciò che dovrà accadere, dove per “attesa” s’intende la previsione di ciò che verrà. Sembra una contraddizione, perché in genere ciò che prevediamo ci fa meno paura dell’imprevisto o dell’imprevedibile: questa “previsione”, invece, è capace di farci temere ciò che ancora non c’è ma che si suppone che accadrà, così cominciamo a star male molto prima, senza per altro risolvere nulla. E proprio in questo contesto di ansia, angoscia e paura mortale, cosa avviene?

Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria”. Allora”, cioè proprio in quel medesimo istante in cui c’è questa situazione di angoscia e caos, vedremo che c’è qualcuno già presente in mezzo noi: il Figlio dell’uomo. Come avviene sulla croce, dove non vediamo direttamente Dio, ma vediamo proprio il Figlio dell’uomo. 

“Figlio dell’uomo” è un’espressione presa dal libro di Daniele (cap. 7): è il giudice supremo della storia, ed è l’unica definizione che Gesù applica a sé. Questa parola nella Bibbia vuol dire insieme uomo, profeta e Dio, perché è quello che giudica la storia con grande potenza e gloria.

Gesù diventa il Figlio dell’uomo proprio sulla croce, quando è tutto meno che uomo, disprezzato da tutti, ridotto all’osso, vituperato, spogliato di  tutto quello che si può togliere a un uomo, rivestito solo della disumanità del male che egli riceve. Eppure, lui sulla croce è ancora uomo, vive da uomo. È in questa situazione che vediamo il vero uomo (che poi è anche il vero Dio), e non in altre cose. Noi vorremo vedere Dio apparire in un'altra immagine, gloriosa e vincente, e invece no; è nella croce che lo vediamo come Dio.

È interessante ciò che Luca descrive sul Calvario: “Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto” (Lc 23,48). “Vedere questo spettacolo” è reso da Luca con il verbo “theorizo”, “fare una teoria”, che etimologicamente significa “osservare Dio”, e in tutto il Vangelo viene usata solamente per i passanti che transitano davanti al Crocefisso. Quando allora vediamo il Figlio dell’uomo che viene sulle nubi, altro non è se non il Figlio dell’Umanità inchiodato sulla croce, vedendo il quale, vediamo Dio.

È pure interessante vedere quando Luca usa la definizione “Figlio dell’uomo” nel suo Vangelo. Chi è il Figlio dell’uomo? 

< >È colui che perdona i peccati (Luca 5,24).È colui che è Signore del sabato e che ci introduce e ci fa mangiare del sabato di Dio (Luca 6,5). È colui che mangia e beve con i peccatori (Luca 7,34). È colui che non si rifiuta di consegnarsi nelle mani degli uomini (Luca 9,44).È colui che non vuole che nessuno perisca (Luca 9,44).È colui che non ha dove posare il capo, e lo reclinerà sulla croce (Luca 9,58). È colui che darà il segno di Giona, il segno della misericordia di Dio per tutti i popoli (Luca 11,30). È colui che nella sua passione per l’uomo compie tutte le scritture (Luca 18,31).

Cristo Pantocratore, 1176,

mosaico del Duomo di Monreale

C’è una costante in tutte queste citazioni: il Figlio dell’uomo è amore e di misericordia. E dove vedremo il Figlio dell’uomo? “Venire su una nube con grande potenza e gloria”. “Gloria” è l’attributo principale di Dio nell’Antico Testamento, e la nube richiama l’Esodo, perché era il segno della presenza di Dio sul popolo in cammino. Non ci sono più dubbi: il Figlio dell’uomo che muore sulla croce non solo è visto e percepito come Dio, ma offrendo la sua vita per amore (come del resto fece in tutta la sua vita terrena) è realmente la presenza di Dio nella storia. Proprio a motivo della croce.

Noi, allora, siamo chiamati a vedere Dio non nell’altro mondo, ma in questo mondo (che è fatto di guerre, carestie, terremoti, pestilenze, persecuzioni, morti, violenza, male). È qui che noi possiamo vedere Dio come testimone dell’amore, del perdono e della misericordia, più forte di ogni male. Sulla croce, dove tutto finisce male, Dio ci chiama a vivere come Lui, vincendo il male col bene.

Per questo, la storia ha un senso anche nella sua drammaticità. Non è vero che troviamo Dio fuori dalla realtà in cui viviamo, vivendo di desideri che si camuffano da preghiera (“Se tu, Dio, mi facessi stare bene in salute, con più soldi e meno problemi, crederei di più in te, ma così non riesco”), e nemmeno lo troviamo in un qualsiasi Messia populista che viene a mettere a posto le cose (“Speriamo che venga il Signore a mettere a posto le cose!”). No, la realtà dove troviamo Dio è dalla parte opposta rispetto a dove lo cerchiamo: noi cerchiamo Dio tra gli onnipotenti e invece lui è dalla parte degli ultimi.

Luca è preoccupato di farci vivere bene il presente in modo nuovo, senza pensare al futuro (“Cosa sarà del nostro futuro? Non sarà davvero arrivata la fine del mondo?”). Pensiamo all’oggi, dove possiamo vedere Dio in quel Figlio dell’uomo crocifisso, sfigurato, che ha un volto così brutto che quando lo vediamo magari ci giriamo addirittura dall’altra parte. Come Cristo sulla croce, oggi ci sono miliardi di “poveri cristi” nel mondo: sono quelli che non vogliamo vedere, che magari mandiamo a elemosinare altrove, oppure quando ci chiedono qualcosa, ci giriamo dall’altra parte. Ma la “via” della croce termina con la “teoria”, col “vedere Dio” proprio là dove non avremmo mai pensato che ci fosse. Luca vuole dirci che la storia non è finita, continua nelle nostre croci quotidiane, nella nostra lotta col male, nella nostra testimonianza. Negli Atti degli Apostoli, ci dice che vedremo la gloria di Dio nel momento della persecuzione, come fu per il diacono Stefano, quando si trovava davanti al sinedrio che lo stava condannando: “Io vedo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra della gloria di Dio” (Atti 7,6).

Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. E allora, quando cominceranno ad accadere queste cose? A quanto pare, è da millenni che avvengono, avvengono ancora oggi e avverranno domani; quindi non preoccupiamoci, quando cominciano le difficoltà e i momenti sconvolgenti nella vita, rialziamo la testa, non pieghiamo le ginocchia davanti al male, perché si avvicina la nostra liberazione, cioè possiamo vivere da uomini liberi, da uomini nuovi anche in questa situazione. Possiamo vivere anche circondati dal male, ormai, perché davanti a noi non abbiamo solo un esempio di vita, ma la stessa Vita; non abbiamo solo tracce di una strada, ma la stessa Via; non abbiamo solo il desiderio di essere liberi, ma la Verità stessa che ci fa liberi.

 

Per la riflessione

Dove cerchi Dio? Nelle stanze dei bottoni? Nei palazzi delle decisioni? Nelle dimostrazioni di potenza? Nel clima impazzito? Nelle tragedie lette come castighi? Oppure nel Dio fatto uomo, capace di morire come noi?

- Che cosa fai di fronte alla croce? Scappi oppure la affronti, certo di incontrarvi Dio?

- Come reagisci di fronte ai fatti drammatici che avvengono nel mondo? Ti rassegni? Te la prendi con Dio? Protesti? Invochi un “messia” che sistemi le cose?

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