Anche nei deserti ci sono dei luoghi felici.
Tra le strade dei nostri paesi, a volte, si incontrano degli angeli. Non si presentano mai in candide vesti, e nemmeno hanno ali. Hanno i piedi ancorati ben a terra e non hanno bisogno di volare. Li riconosci dal modo in cui ti senti guardato, da come un tuo sguardo può segnare la loro giornata o far aprire un loro sorriso. Mosè non si accorse di loro, curvo sulla sua vecchiaia e neppure Maria Maddalena, sconvolta dal dolore per la perdita del suo Signore.
Non li riconobbero se non quando essi si svelarono.
Forse che i loro occhi non erano in grado di riconoscerlo, così come i due discepoli sulla strada verso Emmaus? Anche noi fatichiamo a guardarli.
A volte perché la loro fragilità ci umilia, nel senso più vero del termine, e cioè ci rende piccoli di fronte a qualcosa più grande di noi.
Altre volte perché siamo ci sentiamo eredi di un’immeritata felicità che oramai si pensa si trovi in ciò che possediamo e non in ciò che siamo.
Altre volte ancora, invece, ci commuoviamo e le nostre viscere ci ricordano quel legame forte più della carne che rende tutti parte dell’uno.
Eppure sono tra noi, come fate a non vederli?
Come fate voi a non commuovervi davanti alla bellezza disarmante di uno sguardo che non vi chiede niente ma vi dice tutto?
E li chiamiamo dis-abili, perché non possono camminare come noi, non possono pensare come noi, non possono parlare come noi.
Un’umanità glorificata, già qui, su questa terra, che sa commuovere. Quando la nostra vita e quella degli altri non ci interroga più, quando non sappiamo più stupirci e lasciarci commuovere dall’essere umano, quando non siamo più capaci di uno sguardo che tutto abbraccia e nulla pretende, i dis-abili siamo noi.
Che la Resurrezione possa fare risvegliare la vostra commozione e vi raggiunga lì dove siete...
Sara